lunedì, gennaio 29, 2007

CON GLI OCCHI DI GIUSEPPE


Proviamo a pensare e a rivivere il Natale come San Giuseppe l’ha visto e vissuto. Che cosa vide San Giuseppe nel Natale?
Vide anzitutto Maria, la sua tenerezza e il suo amore di Madre: la contemplò nella sua maternità. Vi sono molte raffigurazioni che ci mostrano San Giuseppe in questa contemplazione: quasi chino e adorante su Maria che tiene in braccio il bambino. Per noi vedere il Natale con gli occhi di san Giuseppe significa contemplare il Figlio in braccio alla Madre. Un bambino è nato per noi, è in braccio a sua madre; E’ il figlio di Dio, l’Emanuele; è la Via unica, la Verità assoluta, la Vita eterna. Sarà con noi per sempre: è il Salvatore di tutti.
Vide la semplicità, la povertà nella quale il bambino viveva; si accorse una volta ancora che il destino di quel bambino, se era di grandezza, non era della grandezza di questo mondo. Lui stesso si accorse ancora una volta di essere un povero, non un uomo dei palazzi e dei poteri, ma uno di quelli che non contano; e quel bambino, quel figlio di Maria, era in fondo un emarginato, uno che nasceva “fuori dalla città”, in un accampamento di pastori, presagio di un percorso di vita e di un destino che lo avrebbero portato a morire ancora fuori dalla città, sul colle del Calvario.
Non è mai inutile, neppure per noi, guardando il Natale con gli occhi di San Giuseppe, ricordarci di questo particolare: la grandezza del Vangelo passa per vie assai diverse da quelle del pensare comune: i primi ad adorare Gesù sono dei pastori, gente un po’ nomade senza una gran fede e senza una grande onorabilità nell’establishment della religione del tempo, e l’ultimo a riconoscerlo, ce lo ricordiamo, è un ladrone, condannato a morire in croce. Questo allarga di molto gli orizzonti e i criteri di giudizio, e, qualora ce ne dimenticassimo, condizionati dal modo di pensare del mondo, ci ricorda con chiarezza da che parte dobbiamo stare se vogliamo essere più sicuri di stare dalla parte di Gesù e di poterlo più facilmente incontrare.
Che cosa sentì Giuseppe nel Natale, con che cuore lo visse? Anzitutto con atteggiamento di gratitudine. Nulla era scontato per lui: quel Figlio che nasceva a Maria era un dono anche per lui. Era un dono ed una grazia essere lui il custode di quel bambino che gli veniva consegnato come Figlio da crescere e da educare. Era un dono, nel cuore di Giuseppe, anche il vivere quella paternità misteriosa e fuori dalle logiche umane.
La gratitudine si alimentava di stupore e meraviglia, della sorpresa del semplice e del piccolo che sempre ritiene troppo grande la degnazione del Signore verso di lui, sorpresa fatta non di quella umiltà fastidiosa, che noi chiamiamo “pelosa”, ma della coscienza serena della propria povertà e limitatezza e, soprattutto, dell’infinita sproporzione fra la grandezza del dono e dell’evento e la propria condizione di vita. Penso che anche per noi questo sia un buon modo di sentire il Natale. Non diamo nulla per scontato. Perché noi, proprio noi, siamo fatti oggetto dal Signore di tanta predilezione, del dono della fede, della vocazione, della famiglia religiosa a cui apparteniamo, di tante grazie e rivelazioni, anche del dono nuovo ad attuale di questo Natale, che ci è venuto incontro con il suo carico di luce e di speranza per la nostra vita? Perché Dio è buono con noi, molto più buono di quanto ci meritiamo. Non smettiamo di sorprenderci e di meravigliarci davanti alla grandezza del suo amore.
Nel Natale di Giuseppe ci sono anche i dubbi , le fatiche e le inquietudini di un percorso di fede e di vita non facile da capire. Non è tanto chiaro il cammino che lo attende. Il Signore lo illumina, ma solo passo dopo passo. Per il resto ci vuole una gran fede. Questo è per lui un momento di gioia e di certezza, ma poi? Credo che questa sia la condizione del credente, la nostra condizione di vita: passi compiuti nella luce di Dio e lunghi tratti nell’incertezza del buio, nell’inquietudine o nel dubbio. Vivere il Natale con il cuore di San Giuseppe significa anzitutto cogliere tutta la Grazia, la dolcezza e la bellezza di questi momenti di luce che Dio non fa mancare alla nostra vita. Questi momenti di felicità e di facilità sono momenti di Dio. Dovunque c’è bellezza, dolcezza, ricchezza vera, beatitudine, senso di vita, lì c’è presenza di Dio perché Dio è tutto questo. Dobbiamo bene amministrare questi momenti, come il viandante che camminasse di notte e lamentasse il buio, benedirebbe lo scintillio di un baleno. E’ un momento, ma quel momento gli ha dato la certezza che la luce c’è, che la via è quella giusta, che il camminare non è vano. Così è l’economia di Dio: il Signore dà dei baleni, dei lampi, delle folgori che orientano il cuore, come i sogni a San Giuseppe: dà un avvertimento ed un orientamento: è il tocco di Dio, che indica come dobbiamo camminare. Poi Dio ritorna quasi assente: scompare e tace. Questo amico vigilante non parla più; è presente e tace. Non importa. Se abbiamo goduto bene dei momenti buoni, non temiamo i momenti oscuri. Non sono pericolosi. Non saranno momenti di pienezza, ma di desiderio, di fedeltà, di amore non affettivo ma effettivo; saranno i documenti che provano che vogliamo amare il Signore anche se non ci dà i suoi doni. Vogliamo Lui, non i suoi doni. Infine in un cielo che non ha nome, in una ebbrezza che non ha confini, in una luce che non ha paragoni, l’ultimo dono è Lui stesso.
E credo che sia proprio questo il sentimento ultimo e riassuntivo del Natale di San Giuseppe: la coscienza certa e serena della presenza di Dio nella sua vita, in ogni piega, anche la più misteriosa e dolorosa dei suoi giorni. Così sia il nostro Natale; e questo sia il Natale di ogni giorno!

Mario Aldegani

sabato, gennaio 20, 2007

L'APOSTOLO DI SAN GIUSEPPE: don Giuseppe Ambrosio


Il libro di padre Angelo Catapano, Giuseppino del Murialdo e direttore del Centro Studi san Giuseppe, colma un vuoto, dato che non esisteva finora una biografia di don Giuseppe Ambrosio (1871-1957), fondatore del santuario di San Giuseppe Vesuviano (Napoli). Personaggio straordinario, è da annoverare nella storia tra i più insigni apostoli di san Giuseppe. Chiaramente della promozione del santo, che è il Patrono universale della Chiesa, ma anche del paese che ai piedi del Vesuvio ne porta il nome dal Seicento, in particolare del santuario ivi innalzato grazie alla sua dedizione per oltre cinquant’anni. Il volume esce in occasione del cinquantesimo anniversario della sua dipartita, che ricorre esattamente il 16 gennaio 2007. Non è stato facile per l’autore, suo concittadino, trovare dopo tanti anni documenti e testimonianze che avrebbero potuto essere utili per offrire un quadro più completo. Tuttavia quello che è riuscito a ricavare dai ricordi raccolti e dagli archivi risulta sufficiente per presentare un primo profilo biografico. La fonte principale è costituita dalle annate de “La voce di san Giuseppe”, rivista istituita da don Ambrosio (detto in napoletano don Peppino), che a partire dal 1902 accompagna lo svolgersi cronologico dell’opera che va di pari passo con quello dell’azione del fondatore del santuario. Le tappe della sua vita, dopo la consacrazione sacerdotale nel 1895 e l’assunzione della direzione dei lavori per la chiesa parrocchiale nel 1899, vengono scandite dalle successive inaugurazioni: le colonne (1905), la cupola (1908), la facciata (1926), l’interno (1935), l’organo (1948), l’altare maggiore (1955). Azione che si estende pure alla realizzazione di un centro per i minori nel 1909 ed uno per gli anziani nel 1935, nonché della “casa del pellegrino” nel 1937. Innumerevoli i suoi viaggi, specialmente per la Campania e la Puglia, ma un po’ in tutte le regioni d’Italia e all’estero, nell’America del nord (1929) e del sud (1934). La sua missione è coinvolgere i benefattori nella costruzione del santuario, che deve essere “monumentale”, degno del Patrono, sulla scia di quello elevato alla sua Sposa nella vicina Pompei. Indubbiamente però il suo compito più profondo è quello di trasmettere l’amore per san Giuseppe, la fiducia agli ammalati, il conforto ai tribolati, la fede ai lontani. Non si contano le grazie e le guarigioni ottenute tramite il suo intervento nel nome del Patrono. Cresce dunque attorno a lui una “famiglia spirituale”, una vasta cerchia di amici, devoti e ammiratori. Conta sulla fede, sull’aiuto di tanti piccoli offerenti, sull’appoggio della povera gente e degli emigrati; tra i suoi grandi sostenitori si segnalano san Pio X e il beato Bartolo Longo. Il libro racconta la sua esistenza in forma avvincente, dando la parola direttamente al protagonista e ai testimoni dei fatti narrati, in maniera documentata, con abbondanza di citazioni e di note. Questi i titoli dei capitoli, che già da soli tratteggiano la figura di mons. Ambrosio: L’uomo giusto al posto giusto – Personaggio carismatico e coinvolgente – Nunzio del santuario di San Giuseppe – Sacerdote con un voto in più – Amico degli orfani e dei sofferenti – Angelo con le ali al cuore e ai piedi – Un secondo Bartolo Longo – Padre e pastore del suo popolo – Pellegrino in mezzo mondo – L’ombra di san Giuseppe – Ospite graditissimo e desideratissimo – Un’anima ardente e ardita – Operatore instancabile di carità – Insigne apostolo di San Giuseppe. Il volume, corredato da foto inedite, conta 256 pagine. Può essere richiesto al Santuario di San Giuseppe Vesuviano (santsgv@murialdo.org), dove un’intera settimana è stata dedicata alla commemorazione del cinquantenario, dal 21 al 28 gennaio, con animazione apposita, mostra fotografica e intestazione della piazza adiacente il santuario all’illustre concittadino e “fulgida perla della diocesi di Nola”, come è stato definito alla sua morte.

domenica, gennaio 14, 2007

SPOSO, PADRE, LAVORATORE - Intervista della Radio Vaticana a p. Angelo Catapano


“Un esempio di amore gratuito, di fedeltà” e di docilità ai progetti di Dio. Con queste parole, Giovanni Paolo II ha definito in una circostanza San Giuseppe, lo sposo della Vergine che la Chiesa festeggia solennemente oggi. Al Santo, il Papa ha dedicato nel 1989 l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, nella quale ricorda l’azione silenziosa e obbediente dello sposo di Maria cui Dio amava parlare nel sogno. “I Vangeli non annotano alcuna parola detta da lui – sottolinea il Pontefice – ma il silenzio di Giuseppe ha una speciale eloquenza”. Ma quale messaggio può arrivare agli uomini di oggi da questo Santo, sposo, padre e lavoratore? Giovanni Peduto lo ha chiesto a padre Angelo Catapano, religioso giuseppino del Murialdo, direttore della “Voce di San Giuseppe”:

R. – Proprio queste tre qualità di sposo, padre e lavoratore lo mettono in evidenza con un’attualità straordinaria, o anche di una “inattualità” per il contrasto delle situazioni in cui ci troviamo. Oggi l’impegno dello sposo, del padre e del lavoratore è messo in difficoltà, in discussione come valore, come riferimento al Vangelo: la crisi della famiglia, della paternità e del rapporto coniugale tra gli sposi, divorzi, separazioni... Anche il mondo del lavoro è in crisi in questo momento. Veramente San Giuseppe ci appare attualissimo in questa realtà e davanti ai nostri occhi è come colui che può dare una “dritta” su che cosa significhi essere sposo per tanti sposi di oggi, padre per tanti papà e lavoratore per il mondo del lavoro.

D. – Non deve essere stato facile, per questo uomo giusto, entrare nel mistero dell’Incarnazione che gli ha sconvolto personalmente la vita ... che ne pensa?

R. – Certamente. Giuseppe dev’essere stato angosciato e non poco per quello che stava capitando, non avendo avuto ancora la luce di Dio. Quel sogno nella notte gli rischiara le tenebre e gli fa capire quello che sta capitando, attraverso l’accoglienza di quel figlio in Maria. Quindi, è stato veramente difficile per lui e questo lo rende più vicino a tutti quelli che hanno difficoltà e vivono nell’angoscia.

D. – Santa Teresa d’Avila invitava a pregare San Giuseppe affermando che Gesù lo ascolta in modo particolare: è vero?

R. – Certo. Qualcuno sottolinea, come anche il nostro fondatore il Murialdo, seguendo Santa Teresa, il fatto che quello che San Giuseppe in Cielo chiede a Gesù è un comando più ancora che una preghiera. Come Giuseppe non ha mai detto di no a Gesù e a Maria, non ha detto mai di no a Dio, così Dio stesso non dice di no a san Giuseppe quando gli si chiede qualcosa per la sua intercessione.

D. – San Giuseppe è soprattutto invocato come il Patrono della Buona Morte. Perché?

R. – Perché ha avuto la felicità di avere la morte più beata possibile: insieme con Gesù, accompagnato da Maria, è passato da questo mondo all’altro mondo. Una grazia speciale di cui certamente non si sentiva degno ma che gli ha permesso l’ingresso più bello nel Paradiso.

domenica, gennaio 07, 2007

LA FAMIGLIA DI NAZARET: "prototipo" di tutte le famiglie cristiane


Celebriamo la festa della Santa Famiglia di Nazaret. Con gioia rivolgo un saluto a tutte le famiglie del mondo, augurando loro la pace e l’amore che Gesù ci ha donato, venendo tra noi nel Natale. Nel Vangelo non troviamo discorsi sulla famiglia, ma un avvenimento che vale più di ogni parola: Dio ha voluto nascere e crescere in una famiglia umana. In questo modo l’ha consacrata come prima e ordinaria via del suo incontro con l’umanità. Nella vita trascorsa a Nazaret, Gesù ha onorato la Vergine Maria e il giusto Giuseppe, rimanendo sottomesso alla loro autorità per tutto il tempo della sua infanzia e adolescenza (cfr Lc 2,51-52). In tal modo ha messo in luce il valore primario della famiglia nell’educazione della persona. Da Maria e Giuseppe Gesù è stato introdotto nella comunità religiosa, frequentando la sinagoga di Nazaret. Con loro ha imparato a fare il pellegrinaggio a Gerusalemme, come narra il brano evangelico che l’odierna liturgia propone alla nostra meditazione. Quando ebbe dodici anni, rimase nel Tempio, e i suoi genitori impiegarono ben tre giorni per ritrovarlo. Con quel gesto fece loro comprendere che egli si doveva "occupare delle cose del Padre suo", cioè della missione affidatagli da Dio (cfr Lc 2,41-52).

Questo episodio evangelico rivela la più autentica e profonda vocazione della famiglia: quella cioè di accompagnare ogni suo componente nel cammino di scoperta di Dio e del disegno che Egli ha predisposto nei suoi riguardi. Maria e Giuseppe hanno educato Gesù prima di tutto con il loro esempio: nei suoi Genitori, Egli ha conosciuto tutta la bellezza della fede, dell’amore per Dio e per la sua Legge, come pure le esigenze della giustizia, che trova pieno compimento nell’amore (cfr Rm 13,10). Da loro ha imparato che in primo luogo occorre fare la volontà di Dio, e che il legame spirituale vale più di quello del sangue. La santa Famiglia di Nazaret è veramente il "prototipo" di ogni famiglia cristiana che, unita nel Sacramento del matrimonio e nutrita dalla Parola e dall’Eucaristia, è chiamata a realizzare la stupenda vocazione e missione di essere cellula viva non solo della società, ma della Chiesa, segno e strumento di unità per tutto il genere umano. Invochiamo ora insieme la protezione di Maria Santissima e di san Giuseppe per ogni famiglia, specialmente per quelle in difficoltà. Le sostengano perchè sappiano resistere alle spinte disgregatrici di una certa cultura contemporanea, che mina le basi stesse dell’istituto familiare. Aiutino le famiglie cristiane ad essere, in ogni parte del mondo, immagine viva dell’amore di Dio.


(Benedetto XVI, 31.12.2006)