domenica, aprile 08, 2012

MARIA DI NAZARETH



E’ andato in onda su Rai1 nei primi due giorni di aprile il film “Maria di Nazareth” (miniserie TV in due parti). E’ una realizzazione internazionale della Lux Vide, con la regia di Giacomo Campiotti e la produzione di Luca Bernabei. Inaspettatamente, considerata una certa programmazione televisiva di bassa qualità, risulta essere una buona rappresentazione della vita della Madonna. Con i suoi occhi e sotto il suo sguardo dolce e materno, ben interpretato da Alissa Jung, è rappresentata l’avventura del Vangelo. E’ originale, sebbene forse eccessivamente caricato, l’accostamento alla Maddalena e agli intrighi di palazzo. Mi pare invece particolarmente riuscita la figura di san Giuseppe, che qui desidero porre in rilievo. Una figura finalmente giovanile, dovuta all’attore Luca Marinelli, di età sui 25 anni. Una rappresentazione discreta e indovinata per un personaggio che non sempre viene compreso e messo in luce. Lo si raffigura come un giovane carpentiere, proveniente in Galilea dalla Giudea. Si presenta da solo con semplicità. “Il mio nome è Giuseppe… noi discendiamo da un ramo della famiglia del re Davide e io sono già capomastro”. Ha dunque fin dall’inizio una sua dignità e non la nasconde. Significativo il suo primo incontro con Maria, quando la chiama e lei risponde: “Eccomi!”. Di lei già conosce tante cose: “hai vissuto presso il tempio fino a poco tempo fa, quando accompagni al pozzo tua madre ogni volta le cedi il secchio più leggero e so che hai due vesti, una azzurra e una rosa, quella che indossi più spesso…”. Ma anche lei l’ha già conosciuto: “Tu sei arrivato qui dalla Giudea un anno fa più o meno. Al pozzo lasci passare avanti quelli che sono arrivati dopo di te e oggi sei più elegante del solito…”. E’ come se si incontrassero due esistenze che hanno un modo di vivere inusuale, lontano dall’arroganza e dalla prepotenza. Giuseppe non tarda a fare la sua dichiarazione: “Ascolta. Io non so a quante case ho lavorato nella mia vita, ma dal momento in cui ti ho vista ho capito perché ne ho fatte così tante: per farne una degna di te… Vuoi sposarmi, Maria?”. Assistendo ad una lapidazione, i loro sguardi subito si intendono, al di là delle parole, e si comprende come disapprovano tale violenza.
Dopo l’annuncio dell’angelo, prima di partire per andare da Elisabetta, già sapendo il mistero di quanto sta crescendo in lei, Maria avverte il suo (promesso) sposo: “Abbi fiducia nel Signore, qualunque cosa accada!”. Ed in effetti al suo ritorno, quando la gravidanza è più evidente, Giuseppe non sa spiegarsi l’accaduto e le rinfaccia: “Non è così che doveva andare!”. Lei cerca di fargli capire: “Nemmeno io immaginavo una cosa simile… Non sono mai stata con un altro uomo… Io non ho fatto nulla, ho solo lasciato fare al Signore… Mi è apparso un angelo, il bambino che porto in grembo non è figlio di uomo… Lo so che è difficile credermi Giuseppe. Prima di partire ricordi che ti dissi: non avere fiducia in me ma nel Signore. Il bambino sarà re di un regno senza fine. Nostro figlio… Lui è il Messia che tutti aspettavamo!”. Davvero non è facile per lo sposo capire e credere all’incredibile. Perciò è umana e comprensibilissima la sua reazione. Le stava preparando la casa dove accoglierla, la stava costruendo con amore con le sue mani. Ed ora tutto crolla e letteralmente intende buttare tutto all’aria. Come può riconoscere quel figlio che non è suo? Lei giustamente parla di “nostro figlio”, ma lui non può che dirle “tuo figlio!”. Sembra un’eco di tante discussioni che anche oggi dividono le coppie e minano l’azione educativa. Si capisce allora la sua decisione, temendo del resto quanto richiede la legge mosaica: “Io me ne andrò. Romperò il nostro fidanzamento senza accusarti. Così nessuno ti potrà condannare a morte per adulterio. Io ti credo, Maria, davvero, ma questo è troppo per me. Sono solo un uomo. Perdonami”. Ma questo pensiero, che non gli fa passare la notte tranquilla, è rivoluzionato dall’esplicito intervento di Dio.
Anche per lui arriva l’annuncio del Signore che gli dice: “Non avere paura, Giuseppe…”. Felice, può esclamare alla sua sposa: “Maria, ha parlato anche a me, sai, l’angelo in sogno. Mi ha detto: non avere paura di prendere Maria come tua sposa. Dimmi ora, accetti ancora che quest’uomo, così duro di testa e duro di cuore, abbia l’onore di provvedere a te e al tuo bambino?”. A dispetto dei giudizi e dei pregiudizi dei compaesani nel villaggio, si ratifica la festa di nozze, già stipulata mesi prima col contratto nuziale, con l’allegria e la gioia della danza con i parenti e i vicini. E’ il momento ufficiale e benedetto in cui lo sposo introduce in casa la sposa. Giuseppe stesso l’aveva tirata su e a questo punto le dice con affetto: “è tua!”. Con delicatezza estrema, viene affrontato il momento della prima notte. Lui le confida: “Là fuori stanno tutti pensando a una sola cosa. Molte persone immaginano che tu sia già stata con me, altre che sia stata con un altro uomo e che ora sia solo il mio turno. Mi chiedo se potranno mai capire una famiglia come la nostra”. Come per il celibato scelto per Dio, solo a chi gli è concesso è possibile capire la chiarezza del rapporto coniugale improntato sulla scelta reciproca della verginità.
A causa del censimento, si devono recare a Betlemme, terra d’origine di Giuseppe e della sua casata discendente da Davide. A questo punto Maria prende una decisione: “Verrò con te. .. Io vorrei stare insieme a te. Poi vorrei che tu fossi il primo a vedere il nostro bambino”. Non può permettere che la nascita del figlio avvenga in assenza del marito. Arrivati a destinazione, non trovano posto che in una grotta. La nascita del bambino supera ogni loro trepidazione. I suoi genitori devono imparare da lui la scelta di un’esistenza semplice e povera, aliena dai beni di questo mondo e dai palazzi del potere. Giuseppe lo riconosce: “Hai visto? E’ un bambino come tutti gli altri!”. Maria soggiunge: “Forse è per questo che è così speciale questo bambino!”. Dopo 8 giorni c’è la circoncisione e dopo 40 la presentazione al tempio e la purificazione della madre. Il padre porta le tortore per il sacrificio e ascolta la premonizione di Simeone. Vedendola afflitta, le chiede il motivo, ma lei medita tutto nel suo cuore e può solo dirgli: “Cose che ancora non comprendo”. Il presentimento di una vita di sofferenza, che si prevede per il bambino, li preoccupa. Addirittura non tarda a venire la persecuzione e nottetempo devono fuggire in esilio. Giuseppe viene avvertito dall’angelo e difende il bimbo e sua madre: tutta la sua preoccupazione è d’ora in poi per loro. Li deve difendere e proteggere: questo è il suo compito. In vista del Nilo e delle piramidi, afferma: “ L’Egitto, è vero, è una terra straniera, ma tu e il bambino sarete al sicuro”.
Dopo tre anni tornano a Nazaret e dopo trent’anni Gesù comincia la sua missione pubblica. Si ritira nel deserto, forma i discepoli e parla alla gente. A casa si vede poco. Giuseppe commenta: “Non poteva restare per sempre un carpentiere!”. E’ interessante che lo si immagina in sinagoga a meditare sulle Sacre Scritture. A un certo punto dichiara che non di solo pane vive l’uomo : “Ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. E per farvi capire questo il Signore vi ha fatto patire la fame, poi vi ha nutrito di manna che tu non conoscevi e che i tuoi padri non conoscevano”. Parole che ricordano gli eventi dell’’antico popolo di Dio e anticipano quelle del Figlio. Alle nozze di Cana e al primo miracolo di Cristo, è presente anche lui, per quanto nell’ombra e senza mettersi in mostra, come è suo stile. Può fare poi la battuta: “Ormai lo sanno tutti. In cantiere mi hanno chiesto dell’acqua trasformata in vino!”. Arriva infine il momento della sua morte. Gesù è assente, mentre Maria lo cura e lo assiste con amore. Lui le dice: “Sto morendo... Sei sempre arrivata prima tu in tutto. Stavolta sarò io a precederti. L’unica cosa che mi dispiace è doverti lasciare qui da sola”. Lei gli risponde che non è sola. Allora lui aggiunge: “E’ vero. Gesù tornerà presto. Digli che io non meritavo di crescere un figlio come lui. E neanche una moglie come te”. L’umiltà lo caratterizza fino alla fine e non ha nessun timore. Afferma: “Non ho paura. Ho vissuto con il Figlio dell’Altissimo e sua madre. Sono abituato ai misteri, tranne uno: a cosa sono servito io? Ho solo lavorato, anno dopo anno, niente più….”. Maria però incalza: “No tu l’hai amato. Sei stato un padre per lui. Hai lavorato con lui. Senza di te non sarebbe l’uomo che è”. Parole stupende, che sgorgano dal cuore della sua sposa e che ben definiscono il ruolo di Giuseppe come Custode del Redentore. Dopo la sua morte, in Maria non si spegne la sua memoria. Ai parenti ricorda: “Prendetevi cura della tomba di Giuseppe”.
Al termine del film, dopo la passione e la morte di Gesù in croce, avviene come da lui predetto, la risurrezione. E’ il giorno di Pasqua, ma i discepoli sono ancora disorientati. Sono tre giorni che è morto e non sanno cosa fare. E’ il momento per Maria di raccontare un episodio di molti anni prima, che getta luce sul presente. Dice: “Gesù aveva 12 anni. Erano i giorni della Pasqua come questi. Eravamo qui a Gerusalemme in pellegrinaggio. Ci venivamo ogni anno, io, lui e Giuseppe. Quell’anno per la prima volta Giuseppe lo aveva portato nel cortile del tempio: ormai era uomo e poteva assistere da vicino al sacrificio dell’agnello. Io li osservavo dal posto delle donne. Giuseppe era lì che lo teneva per mano e lo portava in giro mostrandogli ogni cosa: il grande altare, la tavola dei pani, il santo dei santi. Sembrava felice. Il giorno dopo ripartimmo per Nazaret insieme ad altri pellegrini. Sapete come si fa, gli uomini davanti, il gruppo delle donne al seguito. La sera, dopo esserci accampati, io e Giuseppe ci siamo riuniti e solo allora ci siamo resi conto che Gesù non c’era: avevamo perso Gesù. Camminammo tutta la notte, arrivammo a Gerusalemme che stava sorgendo il sole. Era passato un giorno intero senza di lui. Eravamo disperati. Lo cercammo dappertutto, chiedemmo ad ogni persona. Ma come si ritrova un bambino in una città? Passò un altro giorno. La notte non feci altro che piangere. Giuseppe era angosciato. Non sapeva se dare la colpa a se stesso, a me o a Gesù. Arrivò il terzo giorno. Non sapevamo che cosa fare. Decidemmo di pregare. Andammo al tempio ed ecco, lui era là, nel cortile dei Gentili. Era là in mezzo ai dottori della Legge, a parlare tranquillamente con loro. Quelli erano così stupiti dalle domande che lui faceva e anche dalle sue risposte. Una donna non interrompe una conversazione tra uomini. Quella volta però non rispettai la regola, lo presi per un braccio e gli chiesi: figlio mio, mi dici perché hai fatto questo, io e tuo padre ci siamo spaventati, ti abbiamo cercato dappertutto. Ma lui ci guardò semplicemente e disse: perché mi cercavate disperati, non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? Quel giorno io e Giuseppe non riuscimmo a capire quelle parole…”. Tre giorni per lo smarrimento di Gesù, finché non lo ritrovano, come tre giorni passano dalla morte alla risurrezione. Bisogna passarci per capire. Quanto c’è da imparare da quei due genitori! Ora nel 2012 sono 2000 anni esatti che son passati da quell’episodio così ricco di significato e intriso di mistero. La sfida educativa interpella le famiglie e le nuove generazioni. E’ dunque quanto mai significativo che il film “Maria di Nazareth” riproponga tale finale.

Angelo Catapano