domenica, giugno 05, 2011

EDUCATORI CON IL CUORE DI SAN GIUSEPPE




Ogni volta che si avvicina la festa di San Giuseppe, nostro Patrono, e il giorno anniversario della fondazione della nostra famiglia religiosa, mi torna sempre lo stesso pensiero e lo stesso desiderio.
Vorrei essere in quella raccolta Cappella del Collegio Artigianelli di Torino, partecipare della preghiera e dell’ intensità dell’emozione spirituale del Murialdo e dei confratelli che gli stavano intorno a formare il primo nucleo della “Congregazione di San Giuseppe”.
Dove siamo nati? Come siamo nati? Perché siamo nati?
Il senso della nascita custodisce il senso della vita e credo sia particolarmente importante ricordare, cioè riportare al cuore, il momento della nascita della nostra famiglia religiosa per comprenderne la sua storia e il suo cammino.
In special modo vorrei poter entrare nel cuore del Fondatore, nella sua straordinaria passione per la salvezza terrena ed eterna della gioventù povera ed abbandonata del suo tempo, che Egli aveva conosciuto nei quartieri poveri della Torino del suo tempo nei primi anni del suo sacerdozio; la gioventù che era diventata pienamente e totalmente la sua dopo che, nel 1866, accettò di assumere la direzione del Collegio Artigianelli.
Perché il Murialdo, che mai aveva pensato di essere religioso e meno che meno di fondare una nuova famiglia religiosa, pochi anni dopo aver assunto la direzione del Collegio, aveva dato inizio alla Congregazione e il 19 marzo 1873 l’aveva messa sotto il Patrocinio di San Giuseppe?
Conosciamo tutti le risposte a queste domande, le abbiamo nelle testimonianze storiche, ma esse vanno in qualche modo rese attuali e devono avere un significato esistenziale per noi.
Dove siamo nati?
Siamo nati come Congregazione dentro un’ istituzione educativa, dentro la sua storia e le sue difficoltà, dentro le sue vicende quotidiane… si potrebbe dire che siamo nati in mezzo ai problemi, alle lacrime e alle speranze di quegli orfani che il Collegio e l’intera Opera Artigianelli, vero “sistema educativo”, accoglievano da bambini e non abbandonavano fino a quando essi non erano preparati per entrare nella vita con una degna istruzione, una adeguata formazione e con una professione: buoni cristiani ed onesti cittadini.
Forse mentre nella Cappella del Collegio Artigianelli, quel 19 marzo, il Murialdo, don Reffo, don Costantino e gli altri erano raccolti in preghiera, sentivano lo schiamazzo dei ragazzi nel cortile o il passaggio di qualche “squadra” nei corridoi o i rumori che venivano dai laboratori dei piccoli apprendisti. Erano quei volti, quelle voci, quei cuori il senso della loro consacrazione e della loro missione.
Come siamo nati?
In mezzo agli orfani, ai giovani poveri, ai piccoli lavoratori; in mezzo alle preoccupazioni per i loro problemi e il loro futuro; “addolorati” per lo sfruttamento di cui erano vittime e per aiutarli ad alleviare le loro sofferenze.
Perché siamo nati?
Il Murialdo ha fondato la nostra Congregazione perché l’Opera educativa degli Artigianelli avesse un futuro, una continuità e una solidità.
Siamo nati per essere educatori cristiani dei ragazzi e di giovani più poveri, per essere la loro voce e per difenderli da ogni pericolo o sopruso, per garantire i loro diritti e aiutarli a comprendere e a compiere i loro doveri, per dare loro un aiuto nella vita, per stare dalla loro parte, per essere in mezzo a loro sempre, dedicare loro l’intera nostra esistenza: questa missione è la nostra “consacrazione”!
Il CGXXI fa eco a tutto ciò scrivendo che la nostra profezia è vivere la compassione di Dio “ascoltando e portando a Dio il grido del giovane povero” (CGXXI 1.1.1) e “denunciare il male e agire, specialmente là dove Cristo con-fonde il suo volto con quello dei giovani poveri ed abbandonati, affinché non si perdano (ne perdantur)” (CGXXI 1.1.2).
Uno degli obiettivi degli ultimi capitoli generali è stato quello di creare unità trai diversi elementi del progetto carismatico e, in modo particolare, fra spiritualità e missione.
È un dato costante della nostra tradizione: il Murialdo, nel Regolamento del 1873, scriveva che la finalità della congregazione “è la santificazione dei suoi membri, mediante le opere di educazione dei giovani poveri o discoli”. (art. 1)
Le Costituzioni del 1904 presentano la spiritualità dell’educatore giuseppino come un riconoscere “nei ragazzi da educare lo stesso Gesù Cristo Fanciullo e se stessi come compagni di ministero con S. Giuseppe, ottimo educatore”.(art. 80)
Nel ricordo della nostra nascita, del suo preciso contesto e della sua ragione, c’è dunque chiara l’indicazione della nostra consacrazione come giuseppini, della nostra spiritualità come Famiglia del Murialdo, del nostro cammino di fronte alla realtà e ai problemi della gioventù del nostro tempo..
Insieme alla memoria attualizzata del carisma fondazionale ci è necessaria una visione di futuro, che raccoglie con coraggio e con fiducia le sfide del tempo in cui viviamo.
Il CGXXI ci dice al riguardo: “La nostra spiritualità ci chiama ad incarnare l’“oggi” evangelico di Cristo nel tenere fissi occhi e cuore sui giovani poveri, sollecitati a dare nuove risposte e riappropriandoci della sfida educativa con e per i giovani stessi” (CGXXI 1.2.4).
Viviamo un tempo in cui è riemerso con forza e preoccupazione, a tutti i livelli, il tema dell’educazione.
Ci si affanna ad affinare strumenti di analisi, a porre domande, a costruire risposte.
Noi, congregazione di religiosi consacrati alla missione educativa, ci sentiamo pienamente coinvolti in questa questione, che è la “passione” della nostra vita.
Ci facciamo volentieri compagni di viaggio e di ricerca di tutti coloro che nell’ affermare la priorità della questione educativa, vogliono mettersi in gioco, stare dalla parte dei giovani e costruire un futuro migliore per tutti.
Del resto l’educazione è quel cammino che giovani e adulti abitano e percorrono insieme verso la creazione di un’esistenza più fraterna, più solidale, più creativa, più testimoniale, capace di saldare la sapienza del passato con la spregiudicatezza e la voglia creativa del futuro.
La nostra missione educativa fra i giovani poveri alimenta e genera spiritualità; è il luogo della nostra santificazione. Ma, allo stesso tempo, per poter essere a tutti gli effetti un’autentica missione evangelizzatrice, deve essere animata da un profondo spirito religioso.
La missione è la “forma”, il principio generatore ed unificatore della vita religiosa giuseppina e questo è particolarmente evidente nella figura di San Giuseppe, vista dall’ottica del Murialdo.
Il nostro punto luce, la nostra guida nell’impegno ad essere educatori è il nostro patrono San Giuseppe.
Il Murialdo enumera i “titoli che ci persuadono di scegliere per Patrono nostro San Giuseppe a preferenza di qualsiasi altro santo:
a.- In queste nostre case la maggioranza è di operai. San Giuseppe fu l’artigiano più santo, dopo l’artigiano Dio, Gesù Cristo. Evidentemente, dunque, doveva esser prescelto a protettore degli artigiani. Tanto più che, benché discendenza di Re, scelse di esser artigiano a preferenza di ogni condizione sociale
b.- Chi in questa casa non è artigiano, cioè i Maestri, e gli studenti, debbono in special maniera attendere alla vita interiore; all’unione interna con Gesù Cristo; e anche gli artigiani debbono, per giungere alla perfezione, applicarsi per quanto possono alla vita interiore; presenza di Dio; purità di intenzione; unione di affetti con Gesù Cristo, attuale amore di Dio; un occhio al cuore, l’altro a Dio.
Ora a ciò occorre avere un modello da imitare e un protettore che ottenga i doni dello Spirito Santo a ciò necessari, ed ecco una seconda ragione per essere noi devoti del gran Padre putativo di Gesù. (…)
c.- Una grazia delle più necessarie alla gioventù è quella di conoscere la sua vocazione; non solo a qual professione Dio chiami un giovane, ma specialmente conoscere se Dio, per grande ventura, non chiami qualcuno alla sublime dignità del sacerdozio, od alla avventurata sorte di essere da Dio prescelto e chiamato ad essere porzione dell’eredità di Dio in qualche Ordine o Congregazione religiosa, od almeno servire il Signore di tutto cuore anche nel secolo, ma in un celibato ispirato dalla grazia di Dio, e scelto per poter essere tutto ed unicamente di Dio. Ora il protettore e il Maestro della vocazione è il glorioso nostro san Giuseppe, il quale ebbe la missione di dirigere i primi passi di Gesù. (…) (Scritti, 7,352)
A San Giuseppe, dunque, dobbiamo guardare per rinnovare e qualificare la nostra vocazione di consacrati educatori.
Tra le molte proposte giunte dalle comunità e dalle province per un’icona biblica in vista del prossimo capitolo generale del 2012, v’è n’è una che mi ha colpito.
È quella posta come titolo di questa lettera: “Figlio, tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo”; sono, secondo il racconto dell’evangelista Luca, le parole di Maria, quando insieme con Giuseppe, ritrova Gesù nel tempio, fra i dottori.
Le parole di Maria aprono uno spiraglio sul cuore di Giuseppe e sulla sua responsabilità nei confronti di Gesù e forse indicano sentieri di impegno educativo per noi, figli di San Giuseppe, nelle sfide educative e nei problemi dei giovani di oggi.
Come famiglia di consacrati educatori anche noi ‘cerchiamo il figlio’.
L’impegno dell’educare per noi è che ogni giovane sia aiutato a scoprire la sua dignità di figlio nel Figlio, la sua vocazione terrena ed eterna.
L’impegno dell’educare è riconoscere in ogni ragazzo o giovane il volto del Figlio e quindi avere rispetto della sua libertà, fiducia nelle sue possibilità; ma anche trattare ogni ragazzo o giovane sentendolo come figlio, riflettendo nel nostro modo di essere e di agire i comportamenti del Padre di cui parla Gesù nel Vangelo.
Come famiglia di consacrati anche noi ‘cerchiamo il figlio’.
Il Murialdo i poveri è andato a cercarli. Anche noi siamo chiamati a cercarli e ad essere loro vicini, dentro le difficoltà che essi vivono ogni giorno, con il pericolo di essere abbandonati, strumentalizzati o sfruttati.
Cerchiamo ogni “figlio” che si è smarrito in questo tempo confuso: siamo nati e siamo consacrati per questa missione. Lo cerchiamo “addolorati”, anzi angosciati, con la pena di chi ha fatto diventare davvero proprio il dolore altrui, lo cerchiamo con la “compassione” evangelica.
Come famiglia di consacrati anche noi ‘cerchiamo il figlio’.
“Tuo Padre ed io”… lo cerchiamo insieme, come gruppo di educatori nella Famiglia del Murialdo e insieme alla sua famiglia di origine, perché la ricostruzione delle “alleanze educative” è una delle più importanti sfide dell’emergenza educativa.
Come famiglia di consacrati educatori anche noi ‘cerchiamo il figlio’.
Lo cerchiamo insieme a San Giuseppe: lui è il nostro patrono e il nostro esempio.
Ci è di esempio il suo silenzio, che però è presenza.
La presenza silenziosa di Giuseppe accanto al figlio dice della piena assunzione della responsabilità, della totale fedeltà e dedizione. Suggerisce anche la piena coerenza, necessaria all’educatore, fra parola e vita. Indica la necessità di abbandonare ogni pretesa di protagonismo o dominio sulla vita dell’altro: la responsabilità è quella di aiutare ed illuminare il cammino dell’obbedienza filiale e poi sapersi fare da parte, perché la vita del figlio fiorisca nella libertà.
Come famiglia di consacrati educatori anche noi ‘cerchiamo il figlio’.
Infine, e soprattutto, attraverso l’ impegno e la passione educativa cerchiamo il figlio che è in noi, il figlio che siamo noi.
Educare significa lasciarsi educare, sentirsi costantemente in cammino, generarci e lasciarci generare ogni giorno come creature nuove, tutti insieme, figli nel Figlio.
Rinnoviamo la gratitudine a Dio per averci chiamati ad essere “porzione dell’eredità di Dio” in questa congregazione di educatori fondata da San Leonardo Murialdo: il ricordo della nostra nascita illumini ed indirizzi il nostro cammino, il patrocinio e l’esempio di San Giuseppe ravvivino e sostengano la nostra missione quotidiana a “cercare il figlio”.



p. Mario Aldegani


Superiore generale