sabato, luglio 14, 2012

LA VIA DELLA GIUSTIZIA

            Questo rapporto tra Giuseppe e Maria viene ratificato col contratto di matrimonio e la dote, secondo l’usanza ebraica e la legge mosaica. Prima di cominciare la coabitazione tra gli sposi, che in genere avveniva dopo un anno o alcuni mesi, ecco che accade l’inconcepibile: nel grembo di Maria “per opera dello Spirito Santo” (cf Mt 1,20; Lc 1,35) viene concepito il Figlio di Dio. L’annuncio dell’arcangelo Gabriele rivela alla Madre il progetto del Padre eterno per la venuta del Salvatore (cf Lc 1,26-38). A Giuseppe non è stato ancora rivelato e si dibatte in momenti drammatici. Disorientato, non trovando spiegazione davanti all’evidenza della gravidanza, non sa cosa fare e quale sia la scelta migliore. Essendo “giusto”, come lo definisce il Vangelo stesso (Mt 1,19), vuole fare ciò che è giusto, ossia la volontà di Dio, il solo Giusto e Santo. Il termine ebraico che viene usato, sadìq, ha una pregnanza tutta particolare ed è tutt’oggi un titolo di grande onore. Giuseppe ha imparato fin da giovane a confidare nel Dio dei suoi padri, a riporre solo nel Signore fiducia e speranza. Prega con il salmo: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano” (Sal 92,13). Ha fatto già sua quella beatitudine che sarà proclamata solo più tardi: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati”. (Mt 5,5). La giustizia è sinonimo di felicità, rettitudine, santità. Dice Benedetto XVI: “San Matteo caratterizza San Giuseppe con una parola: ‘era un giusto’…’giusto è l’uomo che è immerso nella Parola di Dio’, che vive nella Parola di Dio, che vive la legge non come giogo ma come gioia, vive la Legge come Vangelo” (20.3.2011). Può darsi che la sposa non gli rivela l’annunciazione per lasciar fare a Dio che interverrà al momento giusto. E’ Lui infatti che ha preso l’iniziativa per operare l’incarnazione e sa come portarla a compimento anche nel suo sposo. Giuseppe ama la sposa più di se stesso, crede alla sua innocenza e per lei farebbe qualunque cosa. Dire che Maria è la sua fidanzata o la sua “promessa sposa” è riduttivo, perché è già sua moglie, anche se non sono ancora andati a vivere insieme. Ma le cose sono cambiate a sua insaputa e forse non si sente degno di stare più al suo fianco. Misericordioso e osservante nel medesimo tempo, pensa di ripudiare la sposa segretamente, per non esporla alla vergogna davanti agli altri e alla punizione della lapidazione prevista dalla legge. Salta la sua scelta di vita, ogni suo desiderio più profondo, ogni programma a lungo accarezzato. E’ come se sbattesse davanti a un muro, con la veemenza dei sogni infranti. La sua vocazione non può essere più quella di prima. Aumenta la preoccupazione e gli pare impossibile rimanere ancora con lei. Gli sembra incredibile quello che sta succedendo. Gli pare di trovarsi in un tunnel senza via d’uscita. La notte si fa sempre più nera e dolorosa. Con le parole dei mistici, diciamo che si tratta di una vera e propria “notte oscura” che soffre intimamente. In questa situazione passa settimane o addirittura qualche mese, dopo il ritorno di Maria dalla visita alla parente Elisabetta. L’incertezza e lo smarrimento, il senso di vuoto e di fallimento, proprio in ciò che gli stava più a cuore con la scelta già fatta del matrimonio, lo attanagliano e non gli lasciano dormire sonni tranquilli. Ma ecco che la luce di Dio riempie la sua notte. L’angelo Gabriele porta a Giuseppe la Parola del Signore ed è questa la sua annunciazione. Non è solo un sogno. E’ la verità di Dio sulla sua vita e su quella del mondo intero. Capisce che non c’è notte che non possa essere vinta dal Signore. Il Signore lo chiama nel tempo del sonno, nelle sue notti insonni riempite di preghiera. Accetta con docilità e moltiplicato amore il progetto del Creatore a cui “nulla è impossibile” (cf Lc 1,37). Non deve aver paura. Non gli è chiesto di tirarsi indietro, al contrario. Il Cielo gli fa sentire la sua voce e gli indica il suo compito grandioso: prendere Maria come sposa, quel figlio divino come figlio suo! E’ il sogno di Dio che entra nei suoi sogni e gli affida una missione paterna unica al mondo. Proprio perché è unica, non è definibile e tutti gli aggettivi appaiono inadeguati. Non c’è da chiamarlo padre putativo, legale, adottivo, verginale, nutrizio, o inventarsi qualche altra definizione. Essere padre è ad ogni modo la sua chiamata speciale. Perciò pensare a san Giuseppe deve richiamare innanzitutto il suo ruolo paterno. Rappresenta tutti i padri della terra, di ogni tempo e di ogni luogo, nella loro funzione educativa e genitoriale. Rappresenta tutti gli educatori, che si prendono a cuore la crescita della gioventù. Rappresenta addirittura il Padre celeste accanto a quel figlio che gli viene donato. La sua paternità, come dichiara con chiarezza Giovanni Paolo II, è “autentica”. Anche Benedetto XVI sottolinea: “San Giuseppe manifesta la paternità in maniera sorprendente, lui che è padre senza aver esercitato una paternità carnale. Non è il padre biologico di Gesù, del quale Dio solo è il Padre, e tuttavia egli esercita una paternità piena e intera. Essere padre è innanzitutto essere servitore della vita e della crescita. San Giuseppe ha dato prova, in questo senso, di una grande dedizione” (18.3.2009). E’ “padre davvero” di Gesù, sebbene non in forma carnale. Assume, davanti a Dio e agli uomini, il suo compito di padre, in piena coscienza e responsabilità. Se proprio si vuole distinguere potremmo chiamarlo “padre terreno” rispetto al Padre celeste. La via è aperta: perseguire un sogno da realizzare, un ideale da vivere, avere una meta da raggiungere, è la cosa giusta nella crescita di ognuno. Lottare per la giustizia e fare ciò che è giusto è il progetto di vita da portare avanti; passare dal disorientamento alla chiarezza del traguardo è fondamentale; assumersi le proprie responsabilità è l’opzione educativa che si apprende dalla vicenda di Giuseppe: padre giusto e sognatore per eccellenza ma con i piedi per terra. La via della giustizia è quella che lui percorre e che indica a chi lo segue.
Angelo Catapano