martedì, giugno 02, 2009

SAN GIUSEPPE LAVORATORE



Nel 1955 il papa Pio XII fissa al primo maggio la festa di san Giuseppe artigiano, come patrono degli operai e di tutti i lavoratori. Oggi per la liturgia è solo memoria facoltativa. Invece è un’ottima occasione per richiamare il senso cristiano del lavoro e guardare al nostro santo.
Pensando alla vita di san Giuseppe, per la maggior parte dei suoi anni lo troviamo nella bottega di Nazaret impegnato nel lavoro quotidiano, senza tirarsi indietro davanti alla fatica. Con le sue mani e con il sudore della fronte, facendo il carpentiere, sostiene la propria famiglia e procura alla sposa e al figlio il necessario per vivere. Va incontro ai bisogni della gente, che in paese e fuori lo chiama per le sue necessità… c’è da costruire, da aggiustare, da incollare, da riparare… Non lavora per arricchirsi, magari disonestamente e a scapito degli sprovveduti, ma è contento della sua povertà. E’ risaputo che Gesù, passando gli anni e diventando un ragazzo, impara nella bottega il mestiere del padre, tant’è che più tardi la gente, vedendo le sue opere, si domanderà: “non è il figlio del carpentiere?”, e più direttamente: “non è costui il carpentiere?”. Vanno insieme a raccogliere la legna, si passano gli arnesi, si aiutano nei lavori pesanti, spazzano e risistemano la bottega, si danno una mano in ogni cosa…
Giuseppe ci si presenta come il modello dei lavoratori. Tanto alto e grande è il compito affidatogli da Dio quanto umile e nascosta è la sua esistenza. Non gli piace farsi sentire e accampar diritti, ma darsi da fare in silenzio e semplicità. Non ambisce successi e non si affanna per i beni del mondo, ma è felice dell’essenziale. “Santifica e nobilita il suo lavoro continuamente indirizzandolo a Dio”. Davvero lavoratore perfetto: “egli che sostentò la sua e la vita di Gesù e di Maria col lavoro delle proprie mani; egli che seppe rimanersene oscuro l’intera vita in una bottega, nell’esercizio di virtù tanto più sublimi quanto più ignorate dagli uomini; egli che nell’arte sua istruì il Creatore del mondo, fatto per amor nostro umile artigianello sotto la disciplina del fabbro di Nazaret”. Giuseppe ci insegna dunque l’amore al lavoro, la sua importanza nel contesto della dignità umana e del progetto divino della creazione. Se ne ricava uno spirito di laboriosità, una coscienza della professione, una fedeltà al dovere, un’attenzione al momento presente da vivere in pienezza. Ben a ragione allora si è dedicata al nostro santo la festa dei lavoratori il primo maggio.
Il lavoro più delicato per Giuseppe rimane però non quello del mestiere, ma quello dell’educatore. Impresa certo non facile e che lo caratterizza più intimamente: è artigiano ed è esempio dei lavoratori, ma è principalmente “custode del redentore” (come lo definisce Giovanni Paolo II nella sua esortazione apostolica) e modello degli educatori. A ben guardare proprio nella bottega di Nazaret troviamo l’ispirazione profonda dell’arte educativa. Indubbiamente i padri di famiglia vi si possono rispecchiare, ma anche gli insegnanti e gli istruttori, i responsabili dell’infanzia e dell’adolescenza. Anzi proprio chi non è legato da parentela con l’educando trova in Giuseppe un riferimento assai significativo. Da lui i genitori possono imparare il giusto esercizio di quella paternità a cui nella nostra società spesso si sfugge. A lui possono rifarsi tutti coloro che sono impegnati nel mondo dell’educazione e dell’accoglienza dei minori. Non è fuori luogo affermare che qui si trova il paradigma ideale sia della famiglia che dell’adozione e dell’affido, come pure del compito educativo nel senso più ampio del termine. Si direbbe che c’è da operare una doppia identificazione: noi in Giuseppe e i figli in Gesù. Diciamo pure che agli educatori spetta di fare la parte di Giuseppe e di riconoscere Gesù in coloro che sono affidati alle loro cure. Non a torto il nostro santo viene quindi invocato come “ottimo educatore”.


Angelo Catapano