SAN GIUSEPPE IN INDIA
Su di una lingua di terra fra il mare Arabico e le lagune, nella località di Kannamaly, vicino alla città di Cochin, nello stato indiano del Kérala, sorge una chiesa dedicata a S. Antonio, che è uno dei più frequentati luoghi di pellegrinaggio della diocesi di Cochìn. I fedeli giungono, a decine di migliaia, soprattutto il 19 marzo, in occasione della festa di san Giuseppe, venerato in un semplice santuario accanto alla chiesa principale. Essi invocano il custode di Gesù contro le varie malattie e possibili calamità, sicuri che li accoglierà fra le sue braccia, come era solito prendere Gesù.
La chiesa di Kannamaly ha una storia secolare. Il primo edificio risale al 1745, ma fu ben presto spazzato via dalle onde dell’oceano Indiano. Nel 1796 venne costruita una nuova chiesa, con annessi canonica e cimitero; anche questa però, dopo poco più di un secolo, nel 1905, dovette subire la furia del mare. Questa volta la violenta tempesta, oltre ai danni materiali, provocò anche molte vittime, e il successivo insorgere del colera per poco non sterminò l’intero villaggio. Nel cimitero non c’era più spazio per seppellire i morti.
Per il p. Suarez, il parroco, fu un’esperienza da spezzare il cuore; vedendo le sofferenze della sua gente, egli organizzò campi di soccorso, e pregò intensamente per ottenere l’aiuto di Dio. Un giorno, il 17 marzo, mentre pregava, il parroco ebbe una forte esperienza mistica, che gli fece perdere i sensi. Il giorno dopo egli si rivolse ai suoi fedeli: “Miei cari, quasi tutti i parrocchiani sono morti. Abbiamo perso i nostri cari. Le nostre case sono diventate luogo di lamenti, come tombe. Tutti noi abbiamo subìto la furia della natura. Presto o tardi il colera ucciderà anche noi, non abbiamo più speranza. Domani è il 19 marzo, festa di san Giuseppe, il patrono della buona morte. Miei cari e amati fedeli, venite in chiesa, domani, e portate il vostro pranzo. Celebreremo la Messa e poi mangeremo il nostro ultimo pasto insieme nello spiazzo davanti alla parrocchia; quindi potremo morire in pace, sotto la protezione di san Giuseppe.”
La gente fece come il parroco aveva detto, ma, prodigiosamente, dopo quel pasto comunitario nessuno più morì, e l’epidemia cessò. Gli abitanti del villaggio attribuirono a san Giuseppe la loro salvezza e lo proclamarono loro protettore. Ora si trattava di ricostruire la chiesa. I lavori ebbero inizio nel 1907, e fu deciso di dedicarla a S. Antonio perché la sua immagine era l’unico oggetto che non era stato spazzato via dalle onde nel 1905. Essi pensavano che la forza della natura aveva potuto prendersi tutto, ma non era stata abbastanza potente da spezzare l’affetto di S. Antonio per la gente di Kannamaly, e che dunque S. Antonio avrebbe preservato dal mare la nuova chiesa.
Ma nonostante questo, la chiesa di Kannamaly è principalmente frequentata dai devoti di san Giuseppe. Ogni anno sono moltissimi a radunarsi il 19 marzo, e mangiare il riso benedetto e offerto a tutti. Si crede che questo cibo di san Giuseppe protegga da tutte le malattie. La devozione continua a diffondersi, anche nel resto dell’anno, e la preghiera di fronte alla statua di san Giuseppe, conservata nel piccolo santuario davanti alla chiesa, è ormai ininterrotta.
La chiesa di Kannamaly ha una storia secolare. Il primo edificio risale al 1745, ma fu ben presto spazzato via dalle onde dell’oceano Indiano. Nel 1796 venne costruita una nuova chiesa, con annessi canonica e cimitero; anche questa però, dopo poco più di un secolo, nel 1905, dovette subire la furia del mare. Questa volta la violenta tempesta, oltre ai danni materiali, provocò anche molte vittime, e il successivo insorgere del colera per poco non sterminò l’intero villaggio. Nel cimitero non c’era più spazio per seppellire i morti.
Per il p. Suarez, il parroco, fu un’esperienza da spezzare il cuore; vedendo le sofferenze della sua gente, egli organizzò campi di soccorso, e pregò intensamente per ottenere l’aiuto di Dio. Un giorno, il 17 marzo, mentre pregava, il parroco ebbe una forte esperienza mistica, che gli fece perdere i sensi. Il giorno dopo egli si rivolse ai suoi fedeli: “Miei cari, quasi tutti i parrocchiani sono morti. Abbiamo perso i nostri cari. Le nostre case sono diventate luogo di lamenti, come tombe. Tutti noi abbiamo subìto la furia della natura. Presto o tardi il colera ucciderà anche noi, non abbiamo più speranza. Domani è il 19 marzo, festa di san Giuseppe, il patrono della buona morte. Miei cari e amati fedeli, venite in chiesa, domani, e portate il vostro pranzo. Celebreremo la Messa e poi mangeremo il nostro ultimo pasto insieme nello spiazzo davanti alla parrocchia; quindi potremo morire in pace, sotto la protezione di san Giuseppe.”
La gente fece come il parroco aveva detto, ma, prodigiosamente, dopo quel pasto comunitario nessuno più morì, e l’epidemia cessò. Gli abitanti del villaggio attribuirono a san Giuseppe la loro salvezza e lo proclamarono loro protettore. Ora si trattava di ricostruire la chiesa. I lavori ebbero inizio nel 1907, e fu deciso di dedicarla a S. Antonio perché la sua immagine era l’unico oggetto che non era stato spazzato via dalle onde nel 1905. Essi pensavano che la forza della natura aveva potuto prendersi tutto, ma non era stata abbastanza potente da spezzare l’affetto di S. Antonio per la gente di Kannamaly, e che dunque S. Antonio avrebbe preservato dal mare la nuova chiesa.
Ma nonostante questo, la chiesa di Kannamaly è principalmente frequentata dai devoti di san Giuseppe. Ogni anno sono moltissimi a radunarsi il 19 marzo, e mangiare il riso benedetto e offerto a tutti. Si crede che questo cibo di san Giuseppe protegga da tutte le malattie. La devozione continua a diffondersi, anche nel resto dell’anno, e la preghiera di fronte alla statua di san Giuseppe, conservata nel piccolo santuario davanti alla chiesa, è ormai ininterrotta.
Eugenio Beni
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