giovedì, agosto 09, 2012

L’ACCOGLIENZA DEL BAMBINO

            A Betlemme, come narra il vangelo di Luca, Giuseppe e Maria non trovano posto dove alloggiare. Dev’essere stata un’esperienza desolante, acuita dal fatto che la moglie è incinta ed è ormai arrivata l’ora del parto. Avrebbero voluto preparare al figlio la migliore accoglienza, ma si vede che quello che conta è il loro cuore accogliente più di ogni altro. Chiunque è rifiutato nel mondo, non è accolto e non trova posto per tanti motivi, può trovare nella loro esperienza a Betlemme il paradigma della loro condizione. Non si ribellano e non disperano, non si lamentano col Signore e continuano a confidare in Lui. Si adattano in una grotta per animali e lì avviene il Natalenella pienezza del tempo” (Gal 4,4). In una mangiatoia nasce il Salvatore, tra le braccia dei genitori scelti in questo mondo. La madre e il padre l’accarezzano e lo baciano. Giuseppe certo si dà da fare per rendere più agevole e meno penosa la nascita del figlio. Non è distratto in altre faccende  e non fa la parte di semplice comparsa, come a volte lo si raffigura nei presepi o come fosse una cornice in certe rappresentazioni. E’ tutto compreso dal mistero che lo avvolge e dai presentimenti di ciò che lo aspetta. Finché non si diventa padri e madri, non si assumono in pieno le responsabilità e non si arriva alla maturità. Ora è il momento giusto per i genitori di fare il passo definitivo. Osserva Benedetto XVI: “Quant’è importante che ogni bambino, venendo al mondo, sia accolto dal calore di una famiglia! Non importano le comodità esteriori: Gesù è nato in una stalla e come prima culla ha avuto una mangiatoia, ma l’amore di Maria e di Giuseppe gli ha fatto sentire la tenerezza e la bellezza di essere amati. Di questo hanno bisogno i bambini: dell’amore del padre e della madre. E’ questo che dà loro sicurezza e che, nella crescita, permette la scoperta del senso della vita” (26.12.2010). San Leonardo Murialdo (1828-1900), fondatore di una congregazione intitolata a san Giuseppe, sottolinea: “Da quel momento Giuseppe non vive più che per Gesù; non ha più cura che di lui; egli assume per lui cuore e tenerezza di padre e diviene per affetto ciò che non è per natura”. Le promesse si avverano: “il Verbo si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). È questa la Parola che viene rilanciata per sempre, grazie a chi gli fa da padre e da madre. Tutto è avvenuto secondo le profezie, Dio è con noi, grazie anche alla disponibilità di Giuseppe: “Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio, a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1,23). Non deve essere fatta nessuna obiezione sulla paternità di Giuseppe, come è affermato da Giovanni Paolo II: “Giuseppe è il padre. Non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure essa non è ‘apparente’, o soltanto ‘sostitutiva’, ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia”. Continua: “E' contenuta in ciò una conseguenza dell'unione ipostatica: umanità assunta nell'unità della Persona divina del Verbo-Figlio, Gesù Cristo. Insieme con l'assunzione dell'umanità, in Cristo è anche «assunto» tutto ciò che è umano e, in particolare, la famiglia, quale prima dimensione della sua esistenza in terra. In questo contesto è anche «assunta» la paternità umana di Giuseppe”. E’ un dono ineffabile di cui lui stesso si rende conto un poco alla volta: “Giuseppe, il quale fin dall’inizio accettò mediante ‘l’obbedienza della fede’ la sua paternità umana nei riguardi di Gesù, seguendo la luce dello Spirito Santo, che per mezzo della fede si dona all’uomo, certamente scopriva sempre più ampiamente il dono ineffabile di questa sua paternità” (RC 21). Da un lato sappiamo che il figlio non è tanto di chi lo fa ma di chi lo cresce, come giustamente dice il detto popolare. Dall’altro occorre considerare che i figli non sono di assoluta proprietà dei genitori, ma piuttosto sono figli di Dio. Afferma Benedetto XVI: “Il bambino non è proprietà dei genitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e in modo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio di Dio". Tanto più nel caso unico di Giuseppe e di Gesù, in cui queste parole sono da prendere alla lettera. Accogliere l’Emmanuele che viene, guardando a Maria e a Giuseppe, è la chiamata per ognuno. I pastori del luogo, avvertiti dagli angeli che annunciano “una grande gioia” (Lc 2,10), vi si recano e trovano lì quello che cercano: il Bambino, Maria e Giuseppe (cfr Lc 2,12). Gli angeli proclamano l’evento: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama” (Lc 2,14). I pastori non hanno da portare che piccoli doni, nella loro povertà, ma li offrono con semplicità; soprattutto portano se stessi e la loro gratitudine a quella famiglia che intuiscono come straordinaria, calata dal Cielo sulla terra. In tutti i tempi, tutti sono chiamati a fare questo pellegrinaggio verso quei tre personaggi che compongono la Santa Famiglia. Verso Gesù, Maria e Giuseppe deve andare ciascuno e ogni famiglia, rinnovando quel primo Natale della storia, sull’esempio dei pastori, nel viaggio della propria vita. A quel modello ci si deve rifare, tanto più se si pensa come sia minacciata da più parti l’idea stessa di famiglia, composta da marito e moglie e dai figli, congiunta nel matrimonio. A quell’ideale si deve ispirare ogni comunità cristiana, cementata dal Signore in mezzo ai suoi (cfr Mt 18,20) e dal comandamento dell’amore vicendevole (cfr Gv 15,17), vedendo in quella Famiglia l’icona della Trinità terrestre, immagine di quella celeste. E’ un compito ineludibile, da parte di tutti e delle istituzioni preposte, sostenere le famiglie, aiutare i genitori, mettere al centro il bambino e salvaguardarne i diritti. L’accoglienza dell’educatore verso il Bambino, e in Lui di tutti i bambini, è un principio non negoziabile.
Angelo Catapano