domenica, ottobre 08, 2006

AMATO MA NON STIMATO - Intervista a Tarcisio Stramare


Quali aspetti della “teologia giuseppina” sono maggiormente attuali?
Per la verità, c’è ancora chi obietta che è esagerato parlare di “teologia giuseppina”, dando per scontato che la figura di san Giuseppe è del tutto “marginale” nella storia della salvezza. Rispondiamo subito a questa tanto errata quanto diffusa convinzione, suffragata dalla totale assenza di san Giuseppe nei manuali di teologia, che, proprio al contrario, pochi personaggi appartengono, invece, come san Giuseppe alla “sacra dottrina” e a quanto in essa “è ordinato a Dio”, secondo il pensiero di san Tommaso, il quale, seguendo il procedimento del vangelo secondo Matteo, ne considera la presenza e il ruolo proprio trattando “l’entrata del Figlio di Dio nel mondo”, all’interno dei misteri della vita di Cristo.
Origene compendia la missione di san Giuseppe, definendolo “l’ordinatore della venuta del Signore”; da parte sua, san Giovanni Crisostomo gli riconosce il titolo di “ministro della salvezza”. Altro che figura “insignificante”, come qualche teologo dilettante si ostina a qualificarlo. Nessuna preoccupazione, dunque, di non essere “cristocentrici”, come oggi giustamente si esige, se ci occupiamo di san Giuseppe!
Precisato questo, è facile comprendere come i differenti aspetti della “teologia giuseppina”, essendo strettamente connessi al mistero dell’Incarnazione, fondamento della Redenzione, siano al centro del Cristianesimo e, perciò, tutti attuali. E’ chiaro che, se ci riferiamo all’ambito pastorale, sono più urgenti quelli che riguardano la famiglia, il matrimonio e la paternità, realtà assunte dal Figlio di Dio nell’incarnazione per essere purificate e santificate. Non ne ha trattato ampiamente Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica “Redemptoris custos”, ossia “Il custode del Redentore”?

L’esortazione apostolica “Redemptoris custos” deve ancora essere valorizzata?
L’esortazione apostolica “Redemptoris custos” fu scritta nel 1989, ossia quindici anni fa. La sua importanza nell’insegnamento dottrinale di Giovanni Paolo II è sufficientemente sottolineata dal titolo, “Il custode del Redentore”, che colloca la figura e la missione di san Giuseppe nella stessa linea della “Redenzione”, propria delle grandi encicliche programmatiche: “Redemptor hominis”, “Redemptoris mater” e “Redemptoris missio”. A giudicare dai risultati si può dire che essa non solo non è stata valorizzata, ma che neppure è conosciuta. Chiunque se ne può rendere facilmente conto senza andare tanto lontano, controllando semplicemente quanto è stato fatto nella propria diocesi. Il “Movimento Giuseppino” , che ha creato un apposito “Meeting Point: Redemptoris custos” per facilitarne la conoscenza e lo studio, è ben documentato in proposito. Ai ripetuti inviti rivolti in tutte le direzioni, tutti hanno risposto esprimendo la loro… grande personale devozione verso san Giuseppe, ma nessuno (l’eccezione conferma la regola) è andato oltre. “Amato, ma non stimato” sembra la logica conclusione. Un serio bilancio di un esperto studioso di san Giuseppe, lo spagnolo José de Jesus Maria, intitolava così la sua relazione sull’esortazione apostolica: “Fracasos de la Redemptoris custos”. Questo severo giudizio deve far riflettere soprattutto coloro che, a qualsiasi titolo, si professano “giuseppini”. Abbiamo fatto ciascuno la propria parte?

Cosa si può fare per una più diffusa riscoperta del nostro Santo nella Chiesa?
La riscoperta deve avvenire sia dal punto di vista dottrinale che da quello della vita cristiana.
Dal punto di vista della vita cristiana, tutta la Chiesa, che è stata sensibilizzata dal Concilio Vaticano II a servire l’ “economia della salvezza”, della quale Giuseppe fu “speciale ministro”, deve imparare da questo “singolare maestro a servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti: agli sposi ed ai genitori, a coloro che vivono del lavoro delle loro mani o di ogni altro lavoro, alle persone chiamate alla vita contemplativa come a quelle chiamate all’apostolato”. La riscoperta di san Giuseppe non può che promuovere il continuo impegno della Chiesa nel “ritrovare la propria identità nell’ambito del disegno redentivo”. San Giuseppe, infatti, è indissociabile dalla Chiesa allo stesso modo che è indissociabile da Gesù.
Dal punto di vista dottrinale, la vera conoscenza di san Giuseppe dipende da quella dei “misteri” della vita nascosta di Gesù. La “Redemptoris custos” ne ha fatto il perno della teologia di san Giuseppe e il “Catechismo della Chiesa Cattolica” ne ha evidenziato l’importanza, sottolineando che “tutta” la vita di Cristo è “rivelazione, mistero e ricapitolazione”. L’esegesi dei Vangeli deve essere più attenta ai “fatti” nei quali il “mistero” è contenuto; da parte sua, la riflessione teologica e la liturgia devono illustrare il mistero e viverlo. Il compito non è facile, ma inevitabile.

In che modo un santuario dedicato a san Giuseppe può offrire oggi un valido servizio?
Se i “Centri di studio” sono come i “laboratori”, dove si valutano i materiali e si confezionano i prodotti, i Santuari possono essere visti come i luoghi, “vetrine e negozi”, dove i prodotti sono successivamente presentati e offerti ai consumatori. Coloro i quali separano la “pastorale” dallo “studio” fanno, dunque, un cattivo servizio al loro “gregge”. Ai Santuari è affidato, infatti, il difficile compito di trasferire la dottrina nella vita cristiana attraverso una predicazione più mirata e la scelta di quelle pratiche di pietà più idonee ad esprimere la fede. La “devozione popolare” è pur sempre “devozione”, ossia volontà di dedicarsi prontamente alle cose che riguardano il servizio di Dio. Come “educare” tale volontà senza il supporto di una appropriata catechesi? Di qui la necessità di un fondamento esegetico in linea con il magistero della Chiesa, di una iconografia che renda visibili i misteri della vita di Cristo, e di un canto nutrito da un testo che contenga il messaggio cristiano. Predicazione, arte e musica sono tre componenti pastorali che non possono essere lasciate all’improvvisazione e al gusto personale: esse debbono rispecchiare la “sacra doctrina”.