IL RAGAZZO DI NAZARET
Questo saggio di Mario Aldighieri, pubblicato da Gabrielli editore (pp. 90), stimola a calarsi nella vita, nei pensieri, nelle domande e nella crescita di Gesù dalla nascita fino alla partenza da Nazaret. Siamo quindi trasportati in quel segmento della “vita nascosta” di quel bimbo, di quel ragazzo e di quel giovane che solo più tardi si esprimerà pubblicamente nella sua missione. Siamo invitati a guardare le cose dal punto di vista della storia e delle usanze di quel popolo e di quel tempo di cui Gesù ha voluto concretamente far parte. Il contesto più prossimo è quella Famiglia di Nazaret di cui si è fatto figlio, con Giuseppe a capo, con Maria per madre. Trascorrono così più di trent’anni, in un’esistenza ordinaria, di cui si passano in rassegna i vari aspetti: la casa di Nazaret, gli amici e il gioco, le feste, la preghiera e la sinagoga, il creato, Gerusalemme e il tempio, il lavoro, le scelte religiose e politiche, la patria, la morte, il discepolo di Giovanni, la decisione sul monte. Risulta ben riuscito l’intreccio tra il dato storico e la verosimiglianza fantastica. Appare evidente come la crescita di Gesù viene “segnata” anche dal suo rapporto con Giuseppe. Sono numerosi i brani al riguardo; qui se ne riporta qualcuno ad esempio.“La Pasqua e gli Azzimi erano le feste che Gesù preferiva. Tutta la celebrazione era avvolta nel mistero e illuminava la notte, nella cena attorno alla tavola con il padre Giuseppe, lui, la mamma e i parenti per prendere cibo come in quella notte antica là nell’Egitto” (p. 35). “Sognava ascoltando la musica del salterio e si sentiva ebreo, nato da madre ebrea, figlio del falegname Giuseppe, l’uomo giusto, l’uomo fedele. Soprattutto si sentiva attratto e non perdeva una parola quando era il papà Giuseppe che era scelto, nella preghiera del sabato, per fare la lettura e il commento, con sulle spalle il mantello rituale. Gli sembrava che Giuseppe leggesse e commentasse la parola sacra con più entusiasmo e con più fede di qualunque altro, perfino del capo della sinagoga” (p. 37). “Quando poi tornava a casa e osservava l’amore con cui Giuseppe lavorava il legno e faceva nascere cose nuove dalle sue mani incallite, vi vedeva le mani del Creatore continuare ad operare” (p. 43). “Con il padre aveva imparato la potatura, il rispetto degli animali e delle cose e l’amore al lavoro. Ora che aveva ormai ben 16 anni, il lavoro col padre era diventato la sua occupazione principale. Per ogni pio ebreo il lavoro era sacro e lui lo riteneva ancor più santo” (p. 52). “Gli rimase impresso per sempre lo sguardo di Giuseppe morente e le ultime parole: “Figlio, io me ne vado, è giunta la mia ora e rimetto la mia vita nelle mani dell’Eterno. Ti ho accompagnato con tua madre fino a questo punto della tua vita. Ora sei un uomo e sei pronto per ciò che l’Eterno ha pensato per te fin dall’eternità... Mi basta sapere che per amore ti ho accompagnato come padre, per amore ti lascio alla tua strada.” (pp. 76-77).
1 Comments:
Bellissimo! Grazie Dio ti benedica
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