martedì, dicembre 23, 2008

CON GLI OCCHI DI GIUSEPPE



Proviamo a pensare e a rivivere il Natale come San Giuseppe l’ha visto e vissuto. Che cosa vide San Giuseppe nel Natale?
Vide anzitutto Maria, la sua tenerezza e il suo amore di Madre: la contemplò nella sua maternità. Vi sono molte raffigurazioni che ci mostrano San Giuseppe in questa contemplazione: quasi chino e adorante su Maria che tiene in braccio il bambino. Per noi vedere il Natale con gli occhi di san Giuseppe significa contemplare il Figlio in braccio alla Madre. Un bambino è nato per noi, è in braccio a sua madre; E’ il figlio di Dio, l’Emanuele; è la Via unica, la Verità assoluta, la Vita eterna. Sarà con noi per sempre: è il Salvatore di tutti.
Vide la semplicità, la povertà nella quale il bambino viveva; si accorse una volta ancora che il destino di quel bambino, se era di grandezza, non era della grandezza di questo mondo. Lui stesso si accorse ancora una volta di essere un povero, non un uomo dei palazzi e dei poteri, ma uno di quelli che non contano; e quel bambino, quel figlio di Maria, era in fondo un emarginato, uno che nasceva “fuori dalla città”, in un accampamento di pastori, presagio di un percorso di vita e di un destino che lo avrebbero portato a morire ancora fuori dalla città, sul colle del Calvario.
Non è mai inutile, neppure per noi, guardando il Natale con gli occhi di San Giuseppe, ricordarci di questo particolare: la grandezza del Vangelo passa per vie assai diverse da quelle del pensare comune: i primi ad adorare Gesù sono dei pastori, gente un po’ nomade senza una gran fede e senza una grande onorabilità nell’establishment della religione del tempo, e l’ultimo a riconoscerlo, ce lo ricordiamo, è un ladrone, condannato a morire in croce. Questo allarga di molto gli orizzonti e i criteri di giudizio, e, qualora ce ne dimenticassimo, condizionati dal modo di pensare del mondo, ci ricorda con chiarezza da che parte dobbiamo stare se vogliamo essere più sicuri di stare dalla parte di Gesù e di poterlo più facilmente incontrare.
Che cosa sentì Giuseppe nel Natale, con che cuore lo visse? Anzitutto con atteggiamento di gratitudine. Nulla era scontato per lui: quel Figlio che nasceva a Maria era un dono anche per lui. Era un dono ed una grazia essere lui il custode di quel bambino che gli veniva consegnato come Figlio da crescere e da educare. Era un dono, nel cuore di Giuseppe, anche il vivere quella paternità misteriosa e fuori dalle logiche umane.
La gratitudine si alimentava di stupore e meraviglia, della sorpresa del semplice e del piccolo che sempre ritiene troppo grande la degnazione del Signore verso di lui, sorpresa fatta non di quella umiltà fastidiosa, che noi chiamiamo “pelosa”, ma della coscienza serena della propria povertà e limitatezza e, soprattutto, dell’infinita sproporzione fra la grandezza del dono e dell’evento e la propria condizione di vita. Penso che anche per noi questo sia un buon modo di sentire il Natale. Non diamo nulla per scontato. Perché noi, proprio noi, siamo fatti oggetto dal Signore di tanta predilezione, del dono della fede, della vocazione, della famiglia religiosa a cui apparteniamo, di tante grazie e rivelazioni, anche del dono nuovo ad attuale di questo Natale, che ci è venuto incontro con il suo carico di luce e di speranza per la nostra vita? Perché Dio è buono con noi, molto più buono di quanto ci meritiamo. Non smettiamo di sorprenderci e di meravigliarci davanti alla grandezza del suo amore.
Nel Natale di Giuseppe ci sono anche i dubbi , le fatiche e le inquietudini di un percorso di fede e di vita non facile da capire. Non è tanto chiaro il cammino che lo attende. Il Signore lo illumina, ma solo passo dopo passo. Per il resto ci vuole una gran fede. Questo è per lui un momento di gioia e di certezza, ma poi? Credo che questa sia la condizione del credente, la nostra condizione di vita: passi compiuti nella luce di Dio e lunghi tratti nell’incertezza del buio, nell’inquietudine o nel dubbio. Vivere il Natale con il cuore di San Giuseppe significa anzitutto cogliere tutta la Grazia, la dolcezza e la bellezza di questi momenti di luce che Dio non fa mancare alla nostra vita. Questi momenti di felicità e di facilità sono momenti di Dio. Dovunque c’è bellezza, dolcezza, ricchezza vera, beatitudine, senso di vita, lì c’è presenza di Dio perché Dio è tutto questo. Dobbiamo bene amministrare questi momenti, come il viandante che camminasse di notte e lamentasse il buio, benedirebbe lo scintillio di un baleno. E’ un momento, ma quel momento gli ha dato la certezza che la luce c’è, che la via è quella giusta, che il camminare non è vano. Così è l’economia di Dio: il Signore dà dei baleni, dei lampi, delle folgori che orientano il cuore, come i sogni a San Giuseppe: dà un avvertimento ed un orientamento: è il tocco di Dio, che indica come dobbiamo camminare. Poi Dio ritorna quasi assente: scompare e tace. Questo amico vigilante non parla più; è presente e tace. Non importa. Se abbiamo goduto bene dei momenti buoni, non temiamo i momenti oscuri. Non sono pericolosi. Non saranno momenti di pienezza, ma di desiderio, di fedeltà, di amore non affettivo ma effettivo; saranno i documenti che provano che vogliamo amare il Signore anche se non ci dà i suoi doni. Vogliamo Lui, non i suoi doni. Infine in un cielo che non ha nome, in una ebbrezza che non ha confini, in una luce che non ha paragoni, l’ultimo dono è Lui stesso.
E credo che sia proprio questo il sentimento ultimo e riassuntivo del Natale di San Giuseppe: la coscienza certa e serena della presenza di Dio nella sua vita, in ogni piega, anche la più misteriosa e dolorosa dei suoi giorni. Così sia il nostro Natale; e questo sia il Natale di ogni giorno!

Mario Aldegani