mercoledì, agosto 29, 2012

CUSTODE E PROTETTORE

            Poco dopo avviene l’arrivo dei Magi a Betlemme. La venuta di questi sapienti che vengono da Paesi lontani, indica la chiamata di tutti i popoli a riconoscere in Gesù il Salvatore: l’epifania, la sua manifestazione. Si fanno guidare da una stella, dal Cielo, alla ricerca del Signore. Maria e Giuseppe rappresentano nell’arco dei secoli questa stella che guida ogni uomo. Diciamo che Giuseppe rimane più sullo sfondo, come un’ombra e come è il suo stile; non si tira indietro davanti alla sua cura paterna e a quanto gli compete nella sua autorità di capofamiglia, ma non ha la smania del protagonista e sa stare umilmente al suo posto. Sa rappresentare - con discrezione - “l’ombra del Padre”, la “nube” che porta la sua presenza, come nuova teofania. Nel quadro della Santa Famiglia, si può dire che la sua parte è quella dell’ombra che stempera lo splendore degli altri due personaggi. I magi portano oro, incenso e mirra; se ne servirà per affrontare le prime emergenze. Avvertono i genitori delle cattive intenzioni del re Erode, che intende mantenere il proprio potere a scapito degli innocenti. Giuseppe in questo periodo si era dedicato ad aggiustare una casa per dimorarvi, ma ora le cose cambiano. Un angelo (sarà forse lo stesso della prima volta) gli appare in sogno e gli dichiara la volontà di Dio: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo” (Mt 2,13). Giuseppe non perde tempo, subito si alza, nella notte, prende il bambino e sua madre e si rifugia in Egitto, all’incirca a una decina di giorni di cammino. Colpisce questo suo immediato eseguire quello che il Signore gli domanda. Se c’è un modello di chi non fa altro che la volontà di Dio, sempre, subito e con gioia, questo modello straordinario è proprio san Giuseppe. Non ha tentennamenti e indecisioni, la prontezza lo distingue, questo è il suo stile e la via che percorre senza sbandare. Ognuno in effetti sul suo esempio ha da seguire la volontà di Dio come bussola permanente che indica il cammino: possiamo dire che questa è la vocazione comune, il destino universale, il progetto di vita a cui deve richiamare ogni educatore. Il fatto che Gesù, Giuseppe e Maria si recano in Egitto, rinnova la storia delle origini di Israele, quando circa 1800 anni prima i 12 figli di Giacobbe si rifugiano in terra egiziana a causa della carestia, quando l’antico Giuseppe, prefigurazione di Cristo e del nostro santo, accoglie lì i suoi fratelli. La sua famiglia si salva grazie a lui. Ed ora la Santa Famiglia si salva grazie al nuovo Giuseppe. Tutti e due imparano a leggere i segni di Dio nei sogni e li sanno interpretare. Tutti e due trovano rifugio in Egitto. Tutti e due difendono la castità. Tutti e due sono salvatori della famiglia loro affidata. Diciamo pure che entrambi sono protettori della loro discendenza: salvatori dell’antico e del nuovo popolo di Dio. Verso ambedue si può rivolgere l’invito biblico: “Andate da Giuseppe. Fate ciò che vi dirà” (Gen 41,45), o anche: “la nostra salvezza è nelle tue mani” (Gen 47,25). Vale pure per il nostro Giuseppe la benedizione del patriarca Giacobbe: “Le benedizioni di tuo padre sono superiori alle benedizioni dei monti antichi, alle attrattive dei colli perenni. Vengano sul capo di Giuseppe e sulla testa del principe tra i suoi fratelli!” (Gen 49,25-26). E ancora: si potrà trovare in definitiva un padre come lui? “Potremo trovare un uomo come questo, in cui sia lo spirito di Dio?” (Gen 41,37). E’ significativa la sua definizione: “Germoglio di ceppo fecondo è Giuseppe”, figlio che cresce e di grande bellezza (cfr Gen 49,22). Anche il sogno sul sole e la luna, con le 11 stelle che gli si prostrano davanti (cfr Gen 37,9), sembra prefigurare la gloria del destino di entrambi. Giustamente san Giuseppe è proclamato Patrono di tutta la Chiesa nel mondo. Come ha protetto allora la Santa Famiglia, così sempre protegge i suoi figli, la famiglia di Dio oggi sparsa sulla terra (cfr Leone XIII, enciclica Quamquam pluries). C’è da riflettere pure sul fatto che Giuseppe in Egitto, forse nella zona del Cairo dove si tramandano i ricordi della Santa Famiglia, prova sulla sua pelle la condizione di straniero ed emigrato, si direbbe di rifugiato politico, in condizioni avverse. Si adatta e vive con fede la situazione di disagio e sofferenza, trovandosi senza una casa e un lavoro, domandandosi continuamente che cosa Dio gli chiede. Nonostante l’ingiustizia subita, il lavoro precario e sottopagato, lo sfruttamento nel guadagno risicato e nella retribuzione, si dà da fare con coraggio e pazienza. Con gli stranieri impara anche un po’ di latino e greco. E’ un uomo forte e pieno di risorse. La professionalità non gli manca e la affina con esperienze diverse. Sa cogliere il bene da tutto e da tutti. A lui possono rivolgersi con fiducia, dato che conosce i loro problemi e sentirlo assai vicino, tutti quelli che soffrono, esuli, immigrati, disoccupati, sfruttati ed oppressi. Anche chi patisce ingiustizie per lo strapotere dei corrotti e dei prepotenti, chi è coinvolto in una “strage degli innocenti” che si perpetua per colpa di qualche “Erode” di turno, può affidarsi alla sua protezione. Giovanni Paolo II ha definito Giuseppe “Custode del Redentore”, nella lettera apostolica a lui intitolata. E’ una bella definizione, che gli calza a pennello, specie in questo frangente dell’esilio in Egitto. Davvero custode e protettore, scudo e difensore, del Figlio divino venuto per redimere gli uomini. Riconoscendo la sua funzione, chiaramente al servizio del mistero dell’Incarnazione, viene dichiarato dal Papa “ministro della salvezza” (RC 8). Nella Redemptoris Custos afferma: “Come Israele aveva preso la via dell’esodo, dalla condizione di schiavitù, per iniziare l’Antica Alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la Nuova Alleanza” (RC 14). Cristo risorto, sempre vivo ed operante, rimane con noi “tutti i giorni, fino alla fine del mondo” secondo l’espressione del Vangelo (Mt 28,20). Nell’attuale società, complessa e non di rado secolarizzata,  dove non manca chi vorrebbe estromettere Gesù e la fede in Lui, è necessaria la missione di san Giuseppe che lo difende e lo protegge, con la sua opera di intercessore dall’alto e attraverso i suoi fedeli che combattono col suo aiuto e il suo esempio.  Dice Benedetto XVI: “La santa Famiglia di Nazareth ha attraversato molte prove, come quella – ricordata nel Vangelo secondo Matteo – della “strage degli innocenti”, che costrinse Giuseppe e Maria ed emigrare in Egitto (cf 2,13-23). Ma, confidando nella divina Provvidenza, essi trovarono la loro stabilità e assicurarono a Gesù un’infanzia serena e una solida educazione” (26.12.2010). Altra ispirazione che la fuga in Egitto rilancia è l’incontro con altri popoli, di razze e religioni diverse, che nel dialogo e nel rispetto reciproco porta a diffondere l’accoglienza e la fede. Il contatto con altre credenze e tradizioni educa pure all’apertura verso il pluralismo, l’ecumenismo e l’impegno interreligioso. Non è da trascurare pure il legame che Giovanni Paolo II fa partendo da questo episodio, riguardante la difesa della vita, e la lotta contro l’aborto e l’eutanasia: “Giuseppe di Nazaret, che salvò Gesù dalla crudeltà di Erode, ci si presenta in questo istante come un grande sostenitore della causa della difesa della vita umana, dal primo istante del concepimento sino alla morte naturale” (4.6.1997). Morto il re Erode, di nuovo l’angelo gli appare in sogno e gli dice: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino» (Mt 2,20). Ovviamente Giuseppe si alza, prende il bambino e sua madre e torna in Israele. Si rinnova così come un nuovo Esodo verso la terra promessa, un altro Mosè che porta la nuova Legge nel figlio divino, si prepara l’entrata del vero liberatore. Prende nuova luce la profezia: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio” (Mt 2,15). Al posto di Erode regna il figlio Archelao, da cui conviene stare alla larga. La paura però non lo blocca, agisce con prudenza, non si ferma in Giudea e si stabilisce in Galilea, il luogo d’origine prima della nascita di Gesù. Lì risistemano la loro casa e mettono tutto in ordine, dopo alcuni anni di assenza. “Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno» (Mt 2,22-23). Gesù verrà presentato da questo momento col nome del padre e di quella località: “Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret” (Gv 1,45). Come sempre, è avvertito da un angelo. Come è importante ascoltare la voce degli angeli! Come è tutta un’altra cosa quando l’esistenza è affidata a loro – che sono i nostri custodi - e guidata dalla loro protezione. Anche questo è un insegnamento prezioso del Custode del Redentore, che si potrebbe addirittura chiamare “salvatore del Salvatore”. Il Servo di Dio Eugenio Reffo, da considerare un maestro di spiritualità Giuseppina, nella tragedia della prima guerra mondiale, quando parecchi confratelli erano al fronte, rammentava loro l’esilio in Egitto vissuto da san Giuseppe e li aspettava al ritorno a casa come a una nuova Nazaret (cfr A. Catapano, Per amore di san Giuseppe, 2006). Sono veramente grandi i sogni di Giuseppe, attraverso i quali si compiono i disegni di Dio. Si capisce la lezione del nostro santo: rimane un valore educativo da non trascurare, nei confronti dell’emigrazione e di un ideale di integrazione dell’umanità, quello del mondo unito, quello di essere aperti verso il diverso e accoglienti con lo straniero. Si apre non una via di sopraffazione e oppressione, ma di giustizia e di pace; come dice il salmo per la venuta del Messia: “Amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno. La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo” (Sal 84). E’ l’anticipo della beatitudine che sarà proclamata più tardi e che qui Giuseppe realizza: “Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,10). Quando si è più piccoli e indifesi, più a rischio e minacciati, c’è assoluto bisogno di chi sappia proteggere. Chi meglio del nostro santo, Custode e Protettore per antonomasia?
Angelo Catapano