lunedì, gennaio 12, 2009

L'ALTARE DI SAN GIUSEPPE


Il cinquantenario della consacrazione dell’altare maggiore del santuario di san Giuseppe Vesuviano, che ricorre il 18 marzo 2005, arriva dopo altrettanti anni di fatiche e peripezie, in gran parte sulle spalle del fondatore mons. Giuseppe Ambrosio. Il nostro don Peppino infatti sognava la sua realizzazione già da cinquant’anni prima, quando ne ideò il primo disegno l’ing. Francesco Foschini. Ostacoli di vario genere e precedenze date ad altri lavori portano alla fine ad un’attesa incredibile di tanti lunghi anni. Ci si mette anche il fatto che non si pensa di fare un altare qualunque, ma qualcosa di monumentale e di regale, degno del Patrono che deve accogliere ed onorare. Certo non deve sfigurare, a coronamento di tutta la costruzione a tre navate, della cupola elevata e della magnifica facciata. Anche l’organo a canne, installato dopo la guerra nel 1948, sembra approntato per suonare e cantare il giorno solenne della sua inaugurazione. In qualcuno emerge l’idea di accontentarsi di qualcosa di più modesto, ma non è questo il pensiero di don Ambrosio, che negli anni ’50, a ottant’anni suonati, si imbarca finalmente nella sua attuazione. Si trova l’architetto giusto nel prof. Mariano Iervolino, fratello del più noto onorevole Angelo Raffaele, impegnato sulla scena politica del tempo e padre di Rosa Russo attuale sindaco di Napoli. Ne vien fuori un progetto che desta ammirazione per l’eleganza delle proporzioni e la raffinatezza della composizione. Per l’esecuzione ci si avvale della ditta napoletana Vincenzo Esposito che vi lavora con perizia. In effetti appare estrema la cura dei dettagli e dell’insieme. L’architetto si mette personalmente alla ricerca della tipologia e della policromia dei marmi, vari e preziosi, in modo da raggiungere un effetto scenografico sontuoso e delicato nel medesimo tempo. Bisogna riconoscere che la ricercatezza dei particolari non distoglie dall’armonia del risultato globale, tra l’altro in buona sintonia con l’abside e il presbiterio.
Sull’esempio di Pompei si pensa di innalzare l’altare davanti e il “Trono” sul retro. Il costo per completare l’opera è considerevole, considerata la penuria del contesto socioeconomico e la somma occorrente che si aggira sui 20 milioni delle lire di allora, all’incirca 250.000 euro di oggi. Per don Peppino è una realizzazione che merita ogni sacrificio, per la quale non bisogna badare a spese. Si impegna allora a battere cassa e cercare quanto serve per pagare via via i materiali e i lavori. Dal 1953 la malattia non gli permette nemmeno di muoversi e di fare quel che ha sempre fatto, andando a trovare personalmente devoti e benefattori in giro per il mondo. Deve limitarsi a scrivere o a mandare qualche persona di fiducia e ad invogliare gli amici e i lettori tramite “La voce di san Giuseppe”. Non potendo muoversi dalla sua cameretta, presso la casa di riposo da lui istituita, si dedica principalmente alla preghiera. E’ favorito dal fatto che la sua stanza comunica con il coro della chiesa. La comunicazione che ha col Padre Eterno e col suo speciale protettore san Giuseppe in realtà è straordinaria. Si è conservato un suo biglietto autografo che la dice lunga su tale rapporto. Il primo febbraio del 1955 scrive: “Stanotte S. Giuseppe mi ha ispirato di disporre a marzo la benedizione del Trono”. Da tempo ha instaurato col suo santo un dialogo da amico, per cui è abituato a parlargli a tu per tu, a raccomandargli ogni cosa, ad ascoltarlo nelle sue ispirazioni… anche nei sogni! Ed ecco che così viene stabilita la data: il 18 marzo si fa la consacrazione da parte del Vescovo diocesano alla presenza del cardinale Marcello Mimmi di Napoli, il giorno dopo la celebrazione della Messa al nuovo altare con il ricordo del suo sessantesimo di sacerdozio. Una data un po’ anticipata sulla conclusione dei lavori, in quanto mancano ancora i mosaici, ma affrettata proprio per permettere a don Peppino la sua partecipazione, a causa dell’età avanzata e della preoccupante malattia che lo affligge.
Alla fine il giorno tanto atteso arriva e si procede con grande festa all’inaugurazione. Quali i sentimenti del fondatore? E’ lui stesso ad esprimerli con efficacia: “Quel Trono e quell’Altare io l’aspettavo, se mi è permesso un paragone, con un po’ di quell’ansia santa con cui il vecchio profeta Simeone aspettava la venuta del Messia. Quel Trono e quell’Altare sono sempre stati il sogno più bello e l’anelito più possente della mia vita. Ed ora che vecchio anch’io, nella pallida luce crepuscolare della mia giornata, a quella festa mi vedo vicino che darà realtà al mio sogno e termine al mio insistente anelito, io dal profondo del cuore innalzo l’inno più fervido del mio ringraziamento a Dio”. L’opera risulta pregevole ed originale; viene apprezzata sia dalla Soprintendenza alle Belle Arti che dalla Commissione centrale di Roma per l’arte sacra. Il nostro santuario quindi racchiude al suo interno questo tesoro, di cui può vantarsi e a cui richiamare i fedeli. Per don Giuseppe Ambrosio è stata l’ultima impresa, prima di morire, quella dettata dalla sovrabbondanza dell’amore e della gratitudine di un’intera vita per san Giuseppe. Crediamo pure che gli sia valsa come un’eccellente presentazione per il Cielo.


Angelo Catapano