SCUOLA IN FAMIGLIA
Seguiamo ora il Vangelo di Luca. E’ bello il quadretto da lui riportato: “Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui” (Lc 2,40). E’ bello considerare che a questa crescita di Gesù hanno contribuito certamente i suoi genitori. Sono così uniti nei loro intenti da essere un cuor solo e un’anima sola. Il compito educativo li caratterizza ambedue. Seguendo il principio dell’incarnazione, il bambino ha preso carne e si è fatto uno di noi, nella Famiglia di Nazaret, naturalmente come tutti i bambini di questo mondo. Avrà strillato e pianto, imparato a parlare e a camminare, giocato e scherzato, sarà stato educato ed istruito, tra le braccia e le carezze del padre e della madre, probabilmente più della madre che del padre, nel periodo dello svezzamento e della prima infanzia fino ai 5 anni. Quante volte i genitori gli saranno stati vicini per dargli da mangiare e da bere, per coprirlo e accompagnarlo, per farlo svegliare ed addormentare, per insegnargli a leggere e a scrivere l’aramaico, per sostenerlo a scuola o farlo giocare con i compagni. Lo abituano presto a collaborare nelle faccende di casa, prendere l’acqua dal pozzo, portare l’olio per la lampada e la legna per il fuoco. Lo nutrono con pane d’orzo, latte e miele, uova e verdure, frutta e a volte carne o pesce. A volte Giuseppe gli avrà lavato i piedi e avrà ricevuto da lui questo servizio. Avrà avuto da prendersi cura del suo corpo per vestirlo, per proteggerlo dal freddo e per alleviarlo al momento del bisogno. L’avrà preso tra le braccia e innalzato, l’avrà fatto adagiare sul suo petto e riposare sulla sua spalla. Gli avrà preparato i sandali, lo avrà aiutato a metterli e a toglierli. Il papà gli avrà pure costruito qualche piccolo giocattolo di legno. Indubbiamente è stato il sicuro sostegno del figlio e della madre. Come Giuseppe e Maria possono dire in tutta verità e autorevolezza: “Ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”! (1 Gv 1,1-3). L’esperienza della Famiglia di Nazaret e nell’arco dei secoli di tanti santi, da san Bernardino da Siena (1380-1444) a santa Teresa d’Avila (1515-1582), da sant’Andrea Bessette di Montréal (1845-1937) a madre Teresa di Calcutta (1910-1997), hanno visto in lui “il padre della Provvidenza”; a lui si sono affidati per cercare casa, per cominciare fondazioni, per trovare aiuto o guarigione, per risolvere problemi economici, e non ne sono stati delusi. E’ da ricordare pure la fiducia estrema che riponeva in lui il famoso architetto Antonio Gaudì (1852-1926) nell’immane edificazione del tempio della Sacra Famiglia a Barcellona. D’altra parte la sua paternità è riconosciuta da tutti, come asserisce il Vangelo: “Gesù era figlio, come si credeva, di Giuseppe” (Lc 3,23). Da qui nasce il termine “putativo”, cioè ritenuto e creduto quale padre. E ancora in Giovanni: “Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre?” (Gv 6,42). Se il Signore si ricorda anche di chi gli ha offerto solo un bicchiere d’acqua (cfr Mc 9,41), tanto più al giudizio finale dice a Giuseppe: “Vieni, benedetto dal Padre mio, ricevi il premio preparato per te dalla fondazione del mondo. Perché ho avuto fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere, ero nudo e mi hai vestito, ero malato e mi hai curato”. (cfr Mt 25). Giovanni Paolo II sottolinea il ruolo educativo della famiglia che diventa come una scuola: “Certamente nella Sacra Famiglia di Nazaret c’era non soltanto il lavoro, ma c’era anche una scuola, la prima scuola e la più importante di tutte le scuole. Nelle scuole si imparano molte cose, diverse ed importanti scienze. Ma nella famiglia si impara l’umanità, si impara ad essere uomo. In questo tipo di insegnamento la famiglia è insostituibile. San Giuseppe era certamente ‘direttore’ di questa scuola d’umanità. Era privilegiato perché ha potuto insegnare l’umanità al Figlio di Dio” (18.1.1981). In un’altra occasione evidenzia come questa paternità educativa simboleggi il prototipo nella consegna dei valori tra le generazioni: “Giuseppe di Nazaret e Gesù di Nazaret, eccoli insieme. E’ un simbolo, una cosa simbolica e profonda che tocca tutte le generazioni. E’ quasi il trasferimento dei contenuti, dei valori, soprattutto umani, quello che si fa tra i padri ed i figli: Giuseppe e Gesù. Questa è una catena per conservare, per approfondire e per arricchire sempre la nostra umanità” (19.3.1993). In quella Famiglia insuperabile trova ispirazione tutta la Chiesa che impara ad agire come comunità cristiana attenta al suo interno ai rapporti di fraternità. Vi trova il suo modello ideale anche la comunità educativa se intende essere tale. Nel documento finale dell’ultimo Capitolo generale dei Giuseppini del Murialdo si afferma: “La nostra è una spiritualità educativa che vede nella famiglia di Nazaret il modello per essere educatori con il cuore di San Giuseppe, maestro di spiritualità per la nostra vita”. La casa non può essere ridotta a un albergo, dove ci si ritira solo per mangiare e dormire, ma è una scuola di vita. Nella Santa Famiglia, nell’alunno Gesù che impara dai suoi genitori, tutti possono trovare una vera e propria “scuola di famiglia”, della quale diventare assidui studenti.
Angelo Catapano