mercoledì, agosto 30, 2006

SAN GIUSEPPE ICONA DEL CREDENTE


San Giuseppe tra fortuna ufficiale e dimenticanza di fatto.

1.1 Corre sempre il rischio di essere dimenticato, tralasciato, messo in disparte. Eppure: il nome di Giuseppe (con tutte le possibili inflessioni) è il più diffuso in Italia e quello di Giuseppina è terzo dopo Maria e Anna. 500 parrocchie in Italia sono a lui intitolate e un centinaio di cattedrali in 45 nazioni (Dati da Vita Pastorale, marzo 2005, 73).

1.2 Inoltre san Giuseppe è stato oggetto di grandi riconoscimenti: Patrono della Chiesa universale (Pio IX, 1870); protettore del Concilio Vaticano II (Giovanni XXIII, 1961). Se poi ricordiamo i santi suoi devoti, abbiamo nomi di primo piano: Agostino, Tommaso, Teresa d’Avila, San Francesco di Sales. Senza nominare tutti i fondatori e le fondatrici che a lui hanno affidato la famiglia religiosa da essi fondata. Ultimamente: don Giussani consigliava di dire tre gloria in onore di San Giuseppe di fronte a particolari problemi; la beata Madre Teresa di Calcutta, lo ha voluto compatrono della sua congregazione accanto a Maria Immacolata. Forse per chi è giovane, e magari tanto devoto di san Giuseppe, risulta difficile iscriversi al sodalizio della Buona Morte dei Gesuiti o alla unione, fondata da don Guanella, del Transito di San Giuseppe, patrono della buona morte. Si sa però che anche i giovani muoiono…

1.3 Anche chi lo loda alla fine rischia di emarginarlo. Quando si insiste su alcune caratteristiche così lontane e diverse rispetto alla cultura attuale, (silenzioso, obbediente, vita nascosta ed umile), alla fine si fa nascere l’idea che è un personaggio lontano, difficile. Che cosa ci può dire un “tipo” così? Nulla o poco.


2. Forse c’è il punto di partenza da chiarire


2.1 Di chi parliamo? Di un personaggio e basta? Di un certo uomo vissuto tanto tempo fa coinvolto in una vicenda strana e complessa? Tutto questo può avere interesse ma non credo che ci serva più di tanto.

2.2 Parliamo di un credente, di un uomo interpellato nella sua fede e nel legame tra la fede e la vita; per questo lo sentiamo vicino perché in lui scopriamo alcuni passaggi del credere che sono anche i nostri, che sono di qualsiasi credente.


3. Alcuni tratti di una fede adulta

3.1 “Stava pensando a queste cose” (Mt 1,20): il dubbio che purifica la fede e ci mette di fronte al mistero; bisogna pensare, riflettere, farci interpellare dalla realtà.

3.2 “Non temere” (Mt 1,20): la fede come fiducia ed affidamento, perché si mette in ascolto; un pensare che non chiude in se stessi ma che si apre ad una luce diversa, esterna a noi.


3.3 “Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21): la fede è accettare che la propria piccola storia (due fidanzati di un piccolo paese) faccia parte di una grande storia (la storia della salvezza).

3.4 “Prese con sé la sua sposa” (Mt 1,24): la fede condivisa, la fede come il mistero profondo di unione e di comunione tra Giuseppe e Maria, e di loro come “coppia” davanti al Signore.


3.5 “Suo padre e sua madre si stupivano di quello che si diceva di Lui”(Lc 2,33): la fede è cammino, è “peregrinatio fidei”; perché non fa perdere lo stupore che Gesù è sempre un poco diverso da come noi lo vorremmo incasellare nei nostri concetti, nelle nostre idee.

Non sappiamo quando e come Giuseppe morì. Pare che in lui si compia la parola del vangelo: “Così anche voi quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Lc 17,10)”. Se hai compiuto il tuo compito di fronte a Dio, la fede è anche lasciare il campo a chi deve venire dopo di te e che è più importante di te. La tua gioia sta nella fedeltà e nel compimento della vocazione ricevuta.

Infine c’è una ultima caratteristica che ce lo rende compagno di viaggio: egli stesso, pur così vicino e partecipe del mistero della redenzione, è un redento, un salvato. Il 19 marzo siamo nel clima della Pasqua e c’è uno tempo-spazio che ci interroga e al quale pensiamo poco, anche perché è difficile pensarlo: Gesù che scende agli inferi (lo diciamo nel “credo degli Apostoli”), il redentore che porta la vittoria sulla morte anche a coloro che nella morte giacciono da tempo ma che hanno atteso, annunciato, operato per la sua venuta. Tra questi c’è anche San Giuseppe.

San Giuseppe, Redemptoris Custos: custodire Gesù, farLo crescere, dentro e attorno a noi.

San Giuseppe: icona del credente.


Tullio Locatelli

giovedì, agosto 10, 2006

FAMIGLIA, LAVORO, QUOTIDIANITA' - Intervista a mons. Beniamino Depalma Vescovo di Nola


In quanto Pastore della diocesi di Nola, quali priorità vede più urgenti per la Chiesa sul territorio?

Tre le priorità che individuo per la mia gente: L’Annuncio, l’Ascolto e la Testimonianza. Sono tre atteggiamenti e tre esperienze che si richiamano reciprocamente e che manifestano lo stile di Dio e devono essere sperimentate per lo stile del suo Popolo.
Bisogna riprendere ad annunciare “Gesù Cristo morto e risorto per noi”, l’antica formula della professione di fede che ha bisogno di non essere semplicemente ripetuta sulle nostre labbra quanto creduta profondamente. Dobbiamo riscoprire nelle nostre vite la capacità di incarnarci nella storia che viviamo, cogliere la scintilla di Dio nelle vicende che sperimentiamo, avvertire la compagnia di Dio nel mondo della sofferenza e del non senso, allargare i nostri orizzonti nel cogliere la realtà non solo nel ristretto mondo dell’empirico, vivere profondamente il clima del dono in cui, continuamente, le nostre vite sono impastate.
Riprendere la capacità di ascoltare, uscire dal mondo delle parole per entrare nell’universo della comunicazione. Sentire Dio che parla, il mondo che parla non significa ascoltare. Si tratta piuttosto di saper cogliere lo spazio interiore per accogliere il messaggio, per scoprire le profondità, è questo che ci qualifica come comunità credente.
Infine la testimonianza ossia la capacità di andare controcorrente per affermare la signoria di Dio e la dignità dell’uomo.

Che impressione ha avuto di S. Giuseppe Vesuviano nelle sue visite?

S. Giuseppe Vesuviano è una comunità che risente fortemente degli stili di vita di una impostazione legata all’idea del commercio. È inutile sottolineare come la logica dell’interesse ha preso il sopravvento su quella della gratuità e del dono. Tuttavia andando oltre l’apparenza e leggendo nelle pieghe di quella storia che non va alle cronache dei giornali ma che si costruisce sull’esperienza dell’uomo comune, ecco che il volto di questa cittadina cambia. Vi sono tanti fermenti di una vita accogliente, che tende all’attenzione ai giovani, a coloro che si trovano in difficoltà, alla possibilità di uno spazio per gli stranieri. È vivace il tessuto solidale di questa comunità che, attrezzandosi anche in maniera originale e avvalendosi di un folto numero di volontari, riesce a far diventare storia di condivisione e di solidarietà anche il momento della difficoltà o dell’abbandono. Su questo campo molto ancora da compiere, ma certamente un cammino già proficuo quello attuato.

Quale significato dare oggi al santuario e alla devozione verso san Giuseppe?

La presenza di un Santuario sul territorio è una grazia dello Spirito. È questo un luogo in cui è possibile un approccio diverso con l’esperienza di fede. È uno spazio in cui si dovrebbe trovare, con maggiore disponibilità, la possibilità di un’accoglienza all’ascolto; una maggiore tranquillità per la celebrazione del sacramento della riconciliazione; uno spazio idoneo per l’adorazione perpetua. Oggi un Santuario dovrebbe assicurare il servizio di un luogo in cui ritrovarsi e ritrovare Dio. Nello specifico lo stile di un santuario che si ispira alla figura di S. Giuseppe dovrebbe promuovere una riflessione su tre campi: la famiglia, il lavoro e il valore della quotidianità.

Ha una "consegna" da lasciare ai nostri lettori?

Più che una consegna un invito: vivere bene il proprio battesimo, non tirandosi mai indietro di fronte alle sfide della vita, e avvertendo che la salvezza si è fatta carne ed è entrata nella storia, questa salvezza è Gesù Cristo, l’unico Signore, che in questa storia ci chiede di essere testimoni della sua gioia.