venerdì, aprile 28, 2006

SAN GIUSEPPE LAVORATORE

1. Il 1° maggio 1955

Nel 1955 la Chiesa propose ufficialmente la figura di san Giuseppe come modello per i lavoratori. Si introduceva così una prospettiva religiosa in una giornata la cui origine risaliva al 1° maggio 1890, giorno in cui simultaneamente i lavoratori di vari paesi per la prima volta chiedevano, con pubbliche manifestazioni, la riduzione dell’orario di lavoro ad otto ore. Nascerà così la festa del lavoro, che la Chiesa volle illuminare con l’esemplarità dell’artigiano di Nazaret, cui fu affidato lo stesso Divino Lavoratore.
Il vangelo definisce più volte san Giuseppe uomo giusto, la tradizione ecclesiastica lo qualifica come nutritor Domini (la locuzione italiana “padre putativo” è di tipo giuridico, il titolo latino indica piuttosto i compiti di sicurezza, educazione umana e tutela svolti da chi seguì dappresso la crescita di Gesù).
Per trovare i primi accenni a un culto pubblico ufficiale diffuso dobbiamo arrivare all’XI secolo. La data del 19 marzo, come propria di una memoria liturgica di san Giuseppe, è segnalata per la prima volta in un martirologio dell’VIII secolo, originario probabilmente della Francia settentrionale o del Belgio. Il motivo della scelta di questa data ci è sconosciuto. Qualche studioso la riconduce a una festa che si celebrava a Roma in onore della dea Minerva e che era assegnata proprio al 19 marzo. Tale ricorrenza, a Roma, era la festa di tutti gli artifices, una specie di grande festa operaia, quasi un’anticipazione del nostro 1° maggio.
Fin dall’antichità, quindi, la Chiesa aveva associato la figura di san Giuseppe al lavoro. Dalla seconda metà del Quattrocento la figura del santo acquista sempre maggiore rilievo, come testimonia il continuo crescere di grado della memoria liturgica. Ma per un collegamento esplicito con il mondo del lavoro dobbiamo attendere il 1937, quando Pio XI, nell’enciclica Divini Redemptoris, presenta san Giuseppe come modello e patrono degli operai.

2. Pio XII e la scelta pastorale

Il 1° maggio 1955 papa Pio XII si rivolgeva alle Acli nel decennale di fondazione. Siamo nella terza fase del lungo pontificato di papa Pacelli e, dopo i duri contrasti con i regimi fascista e nazista, dopo il ciclone bellico, l’azione del papa mostra una precisa scelta pastorale per la ricompaginazione del mondo cattolico in un decennio di veloci cambiamenti: il crescente inurbamento, l’affermazione dell’industria e la perdita di peso di artigianato e agricoltura, la diffusione di costumi e modelli di vita estranei alla cultura cattolica italiana, i prodromi di un miglioramento economico che avrebbe toccato il culmine nei successivi anni Sessanta.
“L’Osservatore Romano” ne dava così notizia: «La presenza di Cristo e della Chiesa nel mondo operaio. Il 1° Maggio solennità cristiana». Le foto dell’epoca presentano un colpo d’occhio straordinario: piazza San Pietro era gremita e la folla, riempita anche piazza Pio XI, debordava lungo il corso di via della Conciliazione.

3. Paolo VI e Giovanni Paolo II


Celebrando il decimo anniversario della festa, il 1° maggio 1965 papa Paolo VI motivava su un piano squisitamente teologico la decisione di porre un forte sigillo cristiano su una festa che aveva trovato altrove i suoi natali: ciò è coerente con il genio teologico del cristianesimo, «il quale scopre in ogni manifestazione autentica della vita un campo sempre possibile e quasi predisposto all’economia dell’Incarnazione, alla penetrazione del divino nell’umano, all’infusione redentrice e sublimante della grazia».
Agli inizi del nuovo millennio nuovi timori si affacciano sul futuro di chi già lavora e delle generazioni che verranno alle cui menti, alle cui mani, alle cui energie operose sarà affidato il creato: a tutti la Chiesa ripropone l’intercessione di san Giuseppe, uomo giusto, discreto e laborioso, che meglio di ogni altro seppe coniugare l’accoglienza piena del mistero di Dio rivelato in Gesù Cristo con la piena responsabilità umana verso il prossimo, il mondo e la storia.
Giovanni Paolo II, nel suo lungo pontificato, ha continuato a valorizzare ogni anno il primo maggio abbinando il patrono dei lavoratori e la festa dei lavoratori, sia recandosi egli stesso in visita a fabbriche e ad imprese di operai, sia ricevendo in udienza la categoria. E’ rimasto memorabile “il giubileo dei lavoratori” a Tor Vergata il primo maggio del 2000.
La congregazione di san Giuseppe, fondata nel 1873 da san Leonardo Murialdo con don Eugenio Reffo e don Giulio Costantino, ritrova in questa data un tratto carismatico della propria fondazione, essendo essa stessa affidata fin dall’origine al Santo degli artigiani, a colui che ha istruito Gesù, “il più santo degli artigianelli”. E’ una festa dunque che, pur essendo liturgicamente memoria facoltativa, non va sottovalutata e rammenta l’impegno specifico nel mondo del lavoro.

domenica, aprile 23, 2006

PER AMORE DI SAN GIUSEPPE


E’ fresca di stampa una nuova pubblicazione di padre Angelo Catapano, direttore del Centro Studi san Giuseppe, nella collana Forper della LEM. Riporta integralmente la relazione presentata al Simposio internazionale sul nostro santo tenutosi in Germania nel 2005. E’ intitolata “Per amore di san Giuseppe – Eugenio Reffo maestro di spiritualità giuseppina”. Si tratta del cofondatore della congregazione di san Giuseppe avviata a Torino nel 1873 con san Leonardo Murialdo. Il titolo riprende un’espressione originale di don Reffo, che invita amici e confratelli a fare tutto “per amore di san Giuseppe”. Tutta la sua storia è vissuta all’insegna e sotto la bandiera del padre terreno di Cristo: dal suo personale cammino di fede che ne viene contrassegnato profondamente, alla mole dei suoi scritti pubblicati ed inediti, alla sua attività di giornalista brillante e combattivo, alla catechesi e alla predicazione ricca di competenza e di passione, fino alla fondazione, alla regolamentazione e alla formazione di quella congregazione di san Giuseppe, attorno a cui è ruotata la sua intera esistenza.
E’ innanzitutto la vita del Reffo, dall’inizio alla fine, dal 1843 al 1925, che lo dimostra coi fatti un amico speciale di san Giuseppe. In realtà ha dedicato tutte le sue risorse di intelligenza e di amore ad innalzare un inno di lode a quello che egli ha considerato il primo ed il più grande dei santi. Si è messo a scuola di quel singolare maestro di Nazaret, prima per imparare e poi per insegnare, in forma orale e scritta, le sue meravigliose lezioni di santità. Nel Custode del Redentore ha visto soprattutto l’educatore e il lavoratore modello, quanto mai vicino ai genitori e ad ogni persona che educa e che lavora. Trovato in lui il protettore più potente per tutti e per ogni situazione, lo ha proposto in sintonia con la Chiesa come il Patrono universale. Sa bene che attraverso Giuseppe si va a Maria e attraverso di Lei si va a Gesù: questa diventa per lui la “via giuseppina”, l’itinerario giusto per chi vuole crescere nella vita di fede e nella preghiera. Si è fatto promotore con tutte le sue energie dello sviluppo di una devozione autentica per san Giuseppe, universale come è universale il suo patrocinio. Ha cooperato decisivamente alla fondazione della congregazione a lui intitolata e si è impegnato con forza nella crescita di una “famiglia giuseppina” degna del suo nome. Ha indicato nel Patrono la “regola parlante”, nell’umiltà e nella carità le virtù per eccellenza, nel “dire, fare ed essere un altro Giuseppe” l’ideale più attraente e pregnante da seguire. La spiritualità giuseppina proposta dal Reffo risulta straordinaria, fondata su buone basi bibliche e teologiche, scrutata con costante meditazione, promossa con eccezionale fervore, non senza una certa originalità. Dalla miniera dei suoi scritti e dal suo linguaggio appassionato è possibile cogliere l’importanza e la bellezza di quanto il Reffo ha detto e fatto “per amore di san Giuseppe”.

ANGELO CATAPANO, Per amore di san Giuseppe, LEM, Roma 2005, pp. 140.

lunedì, aprile 17, 2006

ECLISSE DI SAN GIUSEPPE


Sebbene san Giuseppe rimanga tra i santi più popolari, sembra che da una trentina d’anni a questa parte assistiamo ad un’eclisse della sua figura. Diciamo che dopo un secolo fiorente, all’incirca tra il 1870 e il 1970, in cui si è affermata maggiormente la sua devozione, oggi appare un personaggio defilato, continuamente in ombra e il più delle volte trascurato. Complice il fatto che in Italia dal 1977 il 19 marzo non è più giorno festivo.
Dopo la proclamazione del nostro santo a Patrono della Chiesa universale, che risale a Pio IX nel 1870, e del Concilio Vaticano II, grazie a Giovanni XXIII nel 1962, sembra che si sia stesa una cortina di silenzio. I Papi nominati, in felice coincidenza, sono stati abbinati nella loro beatificazione e a motivo del loro amore per san Giuseppe li troviamo ambedue dipinti nell’abside del nostro santuario. Certo non sono mancati autorevoli pronunciamenti pontifici anche in seguito, sia con Paolo VI che con Giovanni Paolo II, che ci ha lasciato in eredità la preziosa esortazione apostolica “Redemptoris custos”. Dal 1970 si sono poi organizzati nove simposi internazionali che hanno rinnovato l’interesse per san Giuseppe, almeno da parte degli studiosi. Ciononostante, dopo il Concilio, si è verificato praticamente un declino di attenzione e devozione verso lo Sposo di Maria. Il passaggio ad una nuova ecclesiologia, forse ad un malinteso cristocentrismo, a più corrette forme di espressione della liturgia e della pietà popolare, ha portato talvolta (come si suol dire) a buttare “l’acqua sporca col bambino”. Così ci ha rimesso pure il nostro santo, che molti hanno messo da parte… insieme al suo Bambino!
D’altronde il problema è più grande se si riscontra che la fede si affievolisce e va affermandosi un relativismo che sfugge ad ogni certezza, quasi che la verità non esista più e tutto sia opinabile. Una volta scrollato il peso di formule devozionali, scarsamente fondate sulla Parola di Dio, su Cristo e sulla Chiesa, sulla sua realtà di popolo di Dio in cammino, nel perseguimento della giustizia e della fraternità, bisogna ripartire col piede giusto. Se guardiamo con occhi nuovi a san Giuseppe in tale prospettiva, ci avvediamo come è radicata nel Vangelo la sua figura, come è profondamente innestata all’inizio della Redenzione, come è pienamente inserita nel mistero di Cristo e della Chiesa, come emerge il suo compito singolare di “ministro della salvezza”, come ci è davanti congiunto a quello di Maria il suo modello insuperabile di santità, come sia necessario ripercorrere la sua via per andare avanti nella missione affidata ad ogni credente e alla comunità cristiana. Allora sì che risalta il nostro santo ed acquista la sua dignità.
Dispiace se viene ridotto ad un santino tra i tanti da tenere in tasca, a una devozione di cui si può fare a meno, a pia tradizione ormai d’altri tempi, ad una cornice del presepio appaiata al bue e all’asinello. Dispiace se viene staccato da Gesù, il Figlio di Dio per il quale ha fatto da padre, o da Maria, la Madre di Dio affidatagli in Sposa. Dispiace se è assente dalla catechesi e dalla predicazione, se non è invocato nella preghiera eucaristica e nel rosario, se nelle chiese non c’è nemmeno una sua immagine, se non si continua a dare il suo nome nel battesimo. Dispiace se ci si dimentica di affidargli la Chiesa, di cui è Patrono universale, le famiglie, i genitori e i figli, i lavoratori e gli educatori, i coniugi e i consacrati, i giovani e gli anziani, i poveri e gli oppressi, di cui è straordinario modello ed intercessore. E’ vero che san Giuseppe viene definito il “santo del silenzio”, e il suo destino è sempre stato quello di vivere nell’ombra, già nella sua esistenza a Nazaret e poi nell’arco dei secoli, ma non è giusto che noi facciamo silenzio su di lui e non portiamo alla luce la bellezza della sua santità. Tanto più noi che ci riteniamo suoi devoti, figli ed amici. Tanto più nel mondo e nella Chiesa di oggi, che ha bisogno della sua protezione e del suo esempio.

Angelo Catapano

domenica, aprile 09, 2006

UN'IMPORTANZA FONDAMENTALE


Il contesto mariano dell'Angelus invita a soffermarsi oggi con venerazione sulla figura dello sposo della Beata Vergine Maria e Patrono della Chiesa universale. Mi piace ricordare che di San Giuseppe era molto devoto anche l'amato Giovanni Paolo II, il quale gli dedicò l'Esortazione apostolica Redemptoris Custos - Custode del Redentore e sicuramente ne sperimentò l'assistenza nell'ora della morte.

A sinistra: Uno scorcio del Trono di san Giuseppe (santuario di San Giuseppe Vesuviano)

La figura di questo grande Santo, pur rimanendo piuttosto nascosta, riveste nella storia della salvezza un'importanza fondamentale. Anzitutto, appartenendo egli alla tribù di Giuda, legò Gesù alla discendenza davidica, così che, realizzando le promesse sul Messia, il Figlio della Vergine Maria può dirsi veramente "figlio di Davide". Il Vangelo di Matteo, in modo particolare, pone in risalto le profezie messianiche che trovarono compimento mediante il ruolo di Giuseppe: la nascita di Gesù a Betlemme (2, 1-6); il suo passaggio attraverso l'Egitto, dove la santa Famiglia si era rifugiata (2, 13-15); il soprannome di "Nazareno" (2, 22-23). In tutto ciò egli si dimostrò, al pari della sposa Maria, autentico erede della fede di Abramo: fede nel Dio che guida gli eventi della storia secondo il suo misterioso disegno salvifico. La sua grandezza, al pari di quella di Maria, risalta ancor più perché la sua missione si è svolta nell'umiltà e nel nascondimento della casa di Nazaret. Del resto, Dio stesso, nella Persona del suo Figlio incarnato, ha scelto questa via e questo stile - l'umiltà e il nascondimento - nella sua esistenza terrena.
Dall'esempio di San Giuseppe viene a tutti noi un forte invito a svolgere con fedeltà, semplicità e modestia il compito che la Provvidenza ci ha assegnato. Penso anzitutto ai padri e alle madri di famiglia, e prego perché sappiano sempre apprezzare la bellezza di una vita semplice e laboriosa, coltivando con premura la relazione coniugale e compiendo con entusiasmo la grande e non facile missione educativa. Ai Sacerdoti, che esercitano la paternità nei confronti delle comunità ecclesiali San Giuseppe ottenga di amare la Chiesa con affetto e piena dedizione, e sostenga le persone consacrate nella loro gioiosa e fedele osservanza dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. Protegga i lavoratori di tutto il mondo, perché contribuiscano con le loro varie professioni al progresso dell'intera umanità, e aiuti ogni cristiano a realizzare con fiducia e con amore la volontà di Dio, cooperando così al compimento dell'opera della salvezza.
Alla protezione di San Giuseppe affido tutti, e in particolare le famiglie e coloro che necessitano del paterno sostegno. Il suo amore e la cordiale premura, della quale circondava Gesù e Maria, vi accompagnino sempre.

(Benedetto XVI, Angelus del 19 marzo)

domenica, aprile 02, 2006

IL MISTERO DI GIUSEPPE

La Pasqua è senza dubbio il centro della vita cristiana, che sempre ricomincia ogni settimana con la risurrezione di Cristo, celebrata ogni domenica, che per l’appunto è giorno di festa. Il mistero pasquale, preceduto dai giorni della Passione e della Morte in croce, è il mistero centrale e il culmine del cammino di fede nella liturgia. E’ bello per noi vivere il mistero pasquale con san Giuseppe, la cui festa ricorre puntualmente in Quaresima e a ridosso della Pasqua.
Se si pensa al mistero dell’Incarnazione, è evidente che san Giuseppe vi sia coinvolto in prima persona, anche se la sua figura sfugge ai distratti perfino a Natale. La liturgia afferma chiaramente che “alla sua premurosa custodia sono affidati gli inizi della nostra Redenzione”. Una Redenzione che comincia con l’attesa e la nascita del Salvatore e che si compie con la croce e la risurrezione, da considerare tutto un unico mistero di salvezza. Mentre di Maria sappiamo della sua presenza anche sul Calvario e a Pentecoste, di Giuseppe non si dice più nulla dopo l’evento – doloroso e gaudioso nel medesimo tempo – della perdita e del ritrovamento di Gesù a 12 anni. E’ un “mistero” dell’infanzia del Signore, che va approfondito e getta una luce speciale su quello che si può definire il “mistero di Giuseppe”.
Sono dunque passati una dozzina d’anni dal momento in cui Giuseppe riceve l’annunciazione dell’angelo e che accetta quel figlio che deve venire da Dio come se fosse suo figlio, come il Messia atteso dai secoli. Lo ha accolto come tale alla sua nascita, ha esercitato l’autorità paterna facendolo circoncidere, imponendogli il nome e presentandolo al tempio. Lo ha custodito e difeso nella fuga e nell’esilio in Egitto. Lo ha protetto e fatto crescere a Nazaret. Lo ha educato nella Legge e istruito nel lavoro. Ora che è un ragazzo ormai dodicenne, lo porta in pellegrinaggio a Gerusalemme. Qui, e non a caso nel luogo che più tardi sarà destinato ad accoglierlo in festa con le palme e poi a crocifiggerlo, Giuseppe perde Gesù. Non si tratta di un fatterello o di un raccontino colorito su di una scappatella adolescenziale! Dato che non è lui che si smarrisce – infatti non si scompone minimamente – ma piuttosto sono i genitori a smarrirsi, qui si tratta del mistero di dolore a cui sono chiamati Maria e Giuseppe. Sono loro che si sentono perduti e smarriti nell’assenza inspiegabile del figlio amato.
Passano tre giorni di vuoto e di passione. E non sono proprio tre giorni quelli che passeranno alla fine tra la morte e la risurrezione? Per Maria è un anticipo di quello che succederà. Per tutti e due è “una spada che trafigge l’anima”, secondo la profezia di Simeone. Per Giuseppe è l’ora cruciale, quella in cui capisce che non c’è più bisogno di lui, quella della croce in cui grida il suo abbandono, in cui impara a saper perdere e a dare la vita. Finalmente ritrova il figlio con i maestri della Legge nel tempio. Già, quella è la casa sua, dove abita il Padre celeste. Il padre terreno ha svolto il suo compito di Custode del Redentore. Ora è il Redentore che deve prepararsi alla sua opera di salvezza. Il Figlio deve crescere e lui deve diminuire, anzi scomparire nel nulla. La madre dice al figlio: “tuo padre e io, angosciati, ti abbiamo cercato”. Mette avanti il padre ed è giusto così. Proprio per lui, più che per lei, è avvenuto lo smarrimento. Ma è solo un passaggio: avviene il ritrovamento, come ci sarà la risurrezione. Giuseppe ritrova Gesù e d’ora in poi, non più come maestro ma come discepolo, si mette al suo servizio. In un silenzio che lo avvolge nel mistero fino alla fine, finché muore col suo conforto, finché lo ritrova per sempre in Paradiso. Il mistero di Giuseppe in effetti prepara e anticipa quello pasquale.
BUONA PASQUA a tutti gli amici di san Giuseppe!

Angelo Catapano