martedì, aprile 24, 2007

1 MAGGIO: SAN GIUSEPPE LAVORATORE - Intervista a p. Angelo Catapano


1° maggio, festa dei lavoratori, ma anche festa di San Giuseppe lavoratore. A San Giuseppe si ispira la Congregazione dei Giuseppini del Murialdo, fondata da San Leonardo Murialdo, insieme con l’altra dei Giuseppini cosiddetti di Asti. Dei Giuseppini del Murialdo fa parte padre Angelo Catapano che è direttore del Centro Studi san Giuseppe ed è responsabile delle riviste “Vita giuseppina” e “La voce di San Giuseppe”. A padre Catapano, Giovanni Peduto della Radio Vaticana ha chiesto innanzitutto quale lavoro facesse san Giuseppe, che qualche volta viene definito falegname, altre volte carpentiere:

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R. – I termini che usano i Vangeli di Matteo e di Marco, sono dal greco “tecton”, in latino “faber” e poi tradizionalmente, nei secoli passati, si parlava piuttosto di falegname. Oggi si usa di più la traduzione “carpentiere”, proprio perché è un termine un po’ più ampio, generico, che comprende anche il lavoro del falegname, ma potrebbe essere anche fabbro: in qualche modo, chi costruisce. Ed è bello e simpatico già immaginare questo. Dobbiamo anche pensare, poi, che si trattava di un piccolo villaggio, Nazareth, dove i lavori non potevano essere così precisi.

D. – In questo lavoro, era aiutato da Gesù?

R. – Sicuro. Tant’è che il Vangelo stesso dice ad un certo punto: non è lui il figlio del falegname? Addirittura, gli si dice: non è lui il carpentiere? Effettivamente, Gesù ha passato tanti anni accanto a Giuseppe in quella bottega di Nazareth, in quella vita nascosta che ha una sua importanza, non solo come esempio per l’umiltà, ma anche per l’elevazione del lavoro ad una dignità che non è solo umana ma diventa a quel punto ‘divina’. Giuseppe ha educato Gesù, l’ha istruito nel lavoro, ma anche un poco alla volta, passando gli anni, da educatore si è fatto discepolo di Gesù e si è messo alla sua scuola. E lui ha imparato ed è stato istruito da Gesù!

D. – Qual è il senso cristiano del lavoro che ci viene oggi da questa festa?

R. – Questa festa del primo maggio ha bisogno di un rilancio. Nei lunghi anni del suo Pontificato, Giovanni Paolo II non ha perso occasione per incontrare in questa circostanza il mondo del lavoro. E’ per tutta la Chiesa un motivo di riincontrare il mondo del lavoro, i problemi di oggi, e non vederlo soltanto come una questione qualunque, perché il lavoro è la chiave, come ha detto Papa Wojtyla, della questione sociale.

D. – San Giuseppe è stato il custode del Redentore. Nel lavoro si può quindi chiedere anche la sua intercessione ...

R. – Certo. E’ il modello, il patrono dei lavoratori. D’altra parte, l’opera che il nostro santo svolge accanto a Gesù nel mondo del lavoro accompagna quell’opera che Gesù Cristo stesso farà nella sua vita pubblica: l’opera della Redenzione, perché Gesù viene ad operare. E noi ci auguriamo che, insieme con la benedizione di San Giuseppe, ci sia anche – ed è di buon auspicio – il nuovo Papa, Benedetto, che porta nel nome di battesimo il nome stesso di San Giuseppe.

lunedì, aprile 09, 2007

SPOSO E PADRE


Dio é infinitamente sapiente e potente e non senza una ragione profonda sceglie per i suoi fini un mezzo a preferenza di un altro. Noi non possiamo giudicare la sua opera; ma
piuttosto dobbiamo ricercare i motivi per i quali sceglie una via piuttosto che un'altra. Potremmo domandarci: perché Dio volle che il suo Divin Figlio, Nostro Redentore e Salvatore, nascesse da una Vergine sposata a san Giuseppe? Anzitutto perché anch'Egli doveva concorrere collaborando all'opera di REDENZIONE.
San Tommaso d'Aquino scrive: ”Quando Dio elegge e destina alcuno a qualche opera grande, lo apparecchia e lo dispone in modo che sia idoneo a quell'opera cui é destinato. San Giuseppe doveva entrare in questa economia della Provvidenza. Scelto a Sposo della Madre di Dio, e Padre verginale e legale di Gesù, doveva essere arricchito di tali grazie da essere degno della sua missione”.
Altro ammirabile dono, che san Gluseppe ha ricevuto da Dio é l'essere stato predestinato a compagno di Maria e testimone della sua verginità. Maria è dopo Gesù, il primo oggetto della compiacenza divina. Dice il Padre Suarez: Dio ama di più la Beata Vergine da sola che tutti gli altri santi. E' per l'amore che le portava che la scelse fra tutte le donne e la elevò all'altissima dignità di Madre del Verbo e Corredentrice degli uomini. Ma, per lo stesso amore che Dio aveva per Maria, doveva provvedere al suo bene e al suo onore. E per fare ciò di chi si servì? Si servì di san Giuseppe, facendolo suo sposo. Affinchè le fosse compagno inseparabile, sostegno , conforto, difensore, testimone veritiero, custode fedele ed assertore della divina maternità. e perfetta verginità. di Lei".
San Giuseppe sorpassa in santità i Patriarchi, tutti i Santi e gli Apostoli e anche tutti gli Angeli del cielo. San Giuseppe, essendo stato elevato alla dignità più alta dopo quella della Madre di Dio, era giusto che da Dio fosse predestinato anche ad avere sulla terra un’abbondanza tale di grazie da superare qualunque altro santo, all'infuori di Maria, e occupare nella gloria del cielo, il primo seggio, dopo quello della sua sposa Santissima.
San Giuseppe fu predestinato sopra i Patriarchi e i Profeti. Avendo pertanto sorpassato in santità l'antico Giuseppe, il più santo tra i Patriarchi, ne viene di conseguenza che Egli sia il più grande di tutti i Profeti e maggiore dei Patriarchi e superiore anche a San Giovanni Battista.
Fu maggiore dell'antico Giuseppe, perché questi non fu che una figura profetica di lui, e la figura é sempre inferiore all'oggetto figurato. Fu pure superiore a tutti i profeti, poiché nessuno ebbe vita così intima con Dio come Egli col Verbo incarnato. Da questa divina predestinazione subito comprendiamo l'eccelsa dignità di san Giuseppe.
San Giuseppe è grande, è importante nel piano salvifico di Dio perché "sposo della Madre del Redentore". Dice Paolo VI (1966) "Questo é il segreto della grandezza di san Giuseppe… l'aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio, al mistero dell'incarnazione e alla missione redentrice che ci é congiunta".
San Giuseppe é inoltre ESEMPLARE come sposo e come padre. La vera devozione deve infatti portare all’imitazione. Dice ancora Paolo VI "Non ci basti invocare: dobbiamo imitare. Che Cristo abbia voluto essere protetto da un semplice artigiano nell'umile nido della vita familiare ci insegna che ognuno può così proteggere Cristo nel regno delle pareti domestiche e nel. mondo del lavoro".
Esemplare come padre: per il figlio si sacrifica (Egitto); rispetta la vocazione del figlio, pur non comprendendola (tra i dottori); accetta e compie una missione impensabile, educare, formare e crescere il Figlio di Dio, (era loro sottomesso) esercita una vera autorità che é ancora una volta "donazione". Ama Gesù e perciò a Lui si dona totalmente. Che ne pensano i genitori possessivi e, di contro, mancanti di autorità?
Come sposo di Maria è COLLABORATORE ALL'OPERA DI REDENZIONE. Su questo aspetto della sua vita e della sua missione, come è per Maria Vergine, si fonda la nostra devozione. E come é avvenuto per la Vergine dopo il Concilio Vaticano II, anche per S. Giuseppe dobbiamo insistere su questo fondamento.
La Vergine accetta la collaborazione all'opera redentrice del Fig1io di Dio, con il suo “sì” all'Annunciazione, e san Giuseppe con i1 suo: "Fece come l'angelo gli aveva ordinato". E come per Maria, anche per Giuseppe la collaborazione alla redenzione avviene nel1a fede. Né Maria, né Giuseppe, con la loro accettazione, sapevano precisamente quello cui andavano incontro,
ma si fidavano della parola di Dio, e si abbandonavano fiduciosi alla Sua volontà. San Giuseppe collaborò agli inizi della Redenzione, noi siamo chiamati e quindi dobbiamo collaborare alla sua diffusione. "Andate in tutto il mondo..; Fate mie discepole tutte le nazioni" (Mt 28).
Che San Giuseppe diventi per tutti un singolare maestro nel servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa, spetta a ciascuno e a tutti: la missione é per tutti, anche se non per tutti allo stesso modo. C'é chi va fisicamente - i missionari - , c'é chi va spiritualmente; S. Teresa di Gesù Bambino è Patrona delle missioni, pur non essendo mai stata in terra di missione, ma il suo cuore bruciava di ardente amore missionario, e c'è chi va missionario nel suo ambiente di famiglia, di parenti, di lavoro, di svago.
Anche questo "andate" é cammino di fede: "C'è chi semina e chi miete". Siamo invitati a seminare, il raccoglitore é Dio, Egli vuole la salvezza di tutti gli uomini: raccoglierà certamente anche se noi non lo vedremo.

Paolo Borella

mercoledì, aprile 04, 2007

ALZATEVI, ANDIAMO! - Dal libro di Giovanni Paolo II


L'episcopato è, indubbiamente, un ufficio, ma bisogna che il vescovo lotti con ogni energia per non diventare un «impiegato». Egli non deve dimenticare mai di essere padre. Quando penso a chi potrebbe essere considerato come aiuto e modello per tutti i chiamati alla paternità - nella famiglia o nel sacerdozio, e tanto più nel ministero episcopale - mi viene in mente san Giuseppe.
Per me, anche il culto di san Giuseppe si collega con l'esperienza vissuta a Cracovia. In via Poselska, vicino al Palazzo vescovile, ci sono le suore bernardine. Nella loro chiesa, dedicata appunto a san Giuseppe, hanno l'esposizione perpetua del Santissimo Sacramento. Nei momenti liberi mi recavo là a pregare e spesso il mio sguardo andava verso la bella immagine del padre putativo di Gesù, molto venerata in quella chiesa, dove una volta guidai gli esercizi spirituali per i giuristi. Mi è sempre piaciuto pensare a san Giuseppe nel contesto della Sacra Famiglia: Gesù, Maria, Giuseppe. Invocavo l'aiuto di tutt'e tre insieme per vari problemi. Comprendo bene l'unità e l'amore che si vivevano nella Sacra Famiglia: tre cuori, un amore. In modo particolare affidavo a san Giuseppe la pastorale della famiglia.
A Cracovia c'è un'altra chiesa intitolata a san Giuseppe, a Podgórze. La frequentavo durante le visite pastorali. Di eccezionale importanza è poi il santuario di san Giuseppe a Kalisz. Vi convengono i pellegrinaggi di ringraziamento dei sacerdoti ex prigionieri di Dachau. In quel campo nazista un gruppo di loro si affidò a san Giuseppe, e si salvarono. Tornati in Polonia, iniziarono a recarsi ogni anno in pellegrinaggio di ringraziamento al santuario di Kalisz, e mi invitavano sempre a quegli incontri.
La Provvidenza preparò san Giuseppe a svolgere il ruolo di padre di Gesù Cristo. Nell'Esortazione apostolica a lui dedicata, Redemptoris Custos, ho scritto: «Come si deduce dai testi evangelici, il matrimonio con Maria è il fondamento giuridico della paternità di Giuseppe. È per assicurare la protezione paterna a Gesù che Dio sceglie Giuseppe come sposo di Maria. Ne segue che la paternità di Giuseppe -una relazione che lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione - passa attraverso il matrimonio con Maria» (n. 7). Giuseppe fu chiamato a essere lo sposo castissimo di Maria proprio per far da padre a Gesù. La paternità di san Giuseppe, come la maternità della Santissima Vergine Maria, ha un primordiale carattere cristologico. Tutti i privilegi di Maria derivano dal fatto di essere la Madre di Cristo. Analogamente, tutti i privilegi di san Giuseppe derivano dal fatto di aver avuto il compito di far da padre a Cristo.
Sappiamo che Cristo si rivolgeva a Dio con la parola «Abbà»: una parola cara e familiare, quella con cui i figli della sua nazione si rivolgono ai loro padri. Probabilmente con la stessa parola, come gli altri bambini, egli si rivolgeva anche a san Giuseppe. È possibile dire di più del mistero della paternità umana? Come uomo, Cristo stesso sperimentava la paternità di Dio attraverso il suo rapporto di figliolanza con san Giuseppe. L'incontro con Giuseppe come padre si è inscritto nella rivelazione che Cristo ha poi fatto del paterno nome di Dio. È un mistero profondo!
Cristo come Dio aveva la propria esperienza della paternità divina e della figliolanza nel seno della Santissima Trinità. Come uomo sperimentò la figliolanza grazie a san Giuseppe. Questi, da parte sua, offrì al Bambino che cresceva al suo fianco il sostegno dell'equilibrio maschile, della chiarezza nel vedere i problemi e del coraggio. Svolse il suo ruolo con le qualità del migliore dei padri, attingendo la forza dalla somma sorgente dalla quale «ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,15). Allo stesso tempo, in ciò che è umano egli insegnò molte cose al Figlio di Dio, al quale costruì e offrì la casa sulla terra.
La vita con Gesù fu per san Giuseppe una continua scoperta della propria vocazione a essere padre. Lo era diventato in un modo straordinario, senza dare il corpo al suo Figlio. Non è forse questa la realizzazione della paternità che viene proposta a noi, sacerdoti e vescovi, come modello? Di fatto, tutto quanto facevo nel mio ministero lo vivevo come manifestazione di tale paternità: battezzare, confessare, celebrare l'Eucaristia, predicare, richiamare, incoraggiare era per me sempre una realizzazione della stessa paternità.
Alla casa costruita da san Giuseppe per il Figlio di Dio bisogna pensare, in modo particolare, quando si tocca il tema del celibato sacerdotale ed episcopale. Il celibato, infatti, dà la piena possibilità di realizzare questo tipo di paternità: una paternità casta, consacrata totalmente a Cristo e alla sua vergine Madre. Il sacerdote, libero dalla sollecitudine personale per la famiglia, può dedicarsi coli tutto il calore alla missione pastorale. Si capisce pertanto la fermezza con cui la Chiesa di rito latino ha difeso la tradizione del celibato per i suoi sacerdoti, resistendo alle pressioni che nel corso della storia si sono, di tempo in tempo, manifestate. È una tradizione certo esigente, ma che si è rivelata singolarmente feconda di frutti spirituali.
Alla casa costruita da san Giuseppe per il Figlio di Dio si deve pensare anche quando si parla del dovere paterno del vescovo di essere con coloro che gli sono stati affidati. Casa del vescovo, infatti, è la diocesi. Non soltanto perché egli abita e lavora in essa, ma in un senso molto più profondo: casa del vescovo è la diocesi perché è quel luogo dove ogni giorno deve manifestare la sua fedeltà alla Chiesa - sua Sposa. Quando il Concilio di Trento, di fronte alle perduranti negligenze in questo campo, sottolineò e definì l'obbligo del vescovo di risiedere nella sua diocesi, espresse allo stesso tempo una profonda intuizione: il vescovo deve essere con la sua Chiesa in tutti i momenti importanti. Non la deve lasciare, senza una fondata ragione, per un periodo di tempo che superi il mese, comportandosi come il buon padre di famiglia che è costantemente con i suoi e, quando deve separarsi da loro, ne sente la nostalgia e vuole, quanto prima, tornare da loro. Come uomini di fede, nella preghiera ci presentiamo davanti a Maria e a Giuseppe per invocarne l'aiuto e edificare così, insieme con loro e con tutti quelli che Dio ci affida, la casa per il Figlio di Dio: la sua santa Chiesa.


Giovanni Paolo II