lunedì, maggio 26, 2008

SAN GIUSEPPE E IL MARELLO


Nel 1800, secolo in cui si svolge tutta la breve parabola della vita di San Giuseppe Marello, la devozione a San Giuseppe ebbe un forte incremento, testimoniato dalla diffusione delle pratiche devote in suo onore, delle chiese a lui dedicate, delle confraternite e delle famiglie religiose poste sotto la sua protezione, e infine dalla proclamazione pontificia del patrocinio di San Giuseppe su tutta la Chiesa.
In questo clima di rinnovata devozione a San Giuseppe nasce e cresce il futuro Fondatore degli Oblati: al fonte battesimale riceve il nome del Santo Patriarca, nome già presente nella sua famiglia (il nonno paterno si chiamava Giuseppe e la nonna materna Giuseppina); fin dall’infanzia ne respira la devozione; nelle feste e ricorrenze a lui dedicate impara a conoscerlo e ad amarlo come il Santo più vicino a Gesù e a Maria.
Tra i suoi propositi di seminarista leggiamo: "Nunc coepi, ora incomincio, mio Dio, mio Gesù, mia Madre (Maria), mio protettore Giuseppe, mio Angelo (custode)...".
Il 19 marzo 1868, festa di San Giuseppe, inizia la recita dell’Ufficio Divino, in anticipo sull’obbligo canonico che cominciava con il Suddiaconato: egli lo riceverà dieci giorni dopo, il 28 dello stesso mese.
Nel marzo del 1869 scrive all’amico don Giuseppe Riccio: "Venerdì è S. Giuseppe... Ci ricorderemo nel S. Sacrificio che tutti e due abbiam nome Giuseppe e che tutti e due domandiamo il patrocinio del nostro Grande Omonimo... O glorioso patriarca S. Giuseppe non ti scordar di noi che andiamo trascinando queste misere carni sulla dura terra d’esilio. Tu che dopo la Vergine benedetta primo stringesti al seno il Redentore Gesù, sii il nostro esemplare nel nostro ministero che, come il tuo, è ministero di relazione intima col Divin Verbo; Tu ci ammaestri, ci assisti, ci rendi degni membri della Sacra Famiglia."
Il 17 marzo 1870, don Giuseppe Marello è a Roma col suo Vescovo per il Concilio Vaticano I e scrive allo stesso don Riccio: "All’antivigilia del nostro S. Patrono e in momenti in cui la devozione al Capo della Sacra Famiglia sta per toccare il suo più alto sviluppo grazie alle petizioni fatte dalla Cristianità ai Padri del Concilio Vaticano..., preghiamo tutti e due d’accordo nel giorno del nostro Grande Patriarca affinché cominciando ad esaltarlo noi nel nostro cuore ci rendiamo degni di vederlo esaltato prossimamente da tutta la Cristianità col titolo che gli si sta preparando di Patrono della Chiesa Universale... Viva S. Giuseppe coi suoi devoti."
Nove mesi dopo (8 dicembre 1870), Pio IX proclamava San Giuseppe Patrono della Chiesa Universale.
Il 25 ottobre 1872 stende il primo abbozzo di una Compagnia secolare di S. Giuseppe promotrice degli interessi di Gesù, da istituirsi presso la Chiesa del Gesù in Asti; e scrive: "Ognuno dei Compagni di S. Giuseppe prende le proprie ispirazioni dal suo Modello S. Giuseppe, che fu il primo sulla terra a curare gli interessi di Gesù, esso che ce lo custodì infante e lo protesse fanciullo e gli fu in luogo di padre nei primi trent’anni della sua vita qui in terra... O San Giuseppe, Custode di Gesù e nostro Protettore, accoglici come tuoi compagni nei ministeri che hai meritato di compiere sulla terra."
Caduta l’idea della Compagnia secolare per la poca sensibilità dell’ambiente astigiano, don Marello, ispirato da Dio, punta più in alto e pensa a una Compagnia religiosa di San Giuseppe capace di far rivivere in Asti la vita consacrata maschile quasi totalmente scomparsa dalla città; e la centrerà tutta attorno alla figura e alla missione del Custode del Redentore: "A chi... desideri di seguire dappresso il divin Maestro coll’osservanza dei Consigli Evangelici, è aperta la Casa di S. Giuseppe, dove, ritirandosi col proposito di permanervi, nascostamente e silenziosamente operoso, nell’imitazione di quel gran Modello di vita povera e oscura, avrà modo di farsi vero discepolo di Gesù Cristo."
La nuova famiglia religiosa nasce il 14 marzo 1878, nei locali dell’Opera Pia Michelerio di Asti, nella povertà più completa: unico ornamento della stanza dove i primi Oblati si radunano è un’immagine di San Giuseppe senza cornice.
Un anno dopo, il Fondatore sceglie il 19 marzo, festa di San Giuseppe, come giorno della prima vestizione religiosa dei suoi primi Oblati.
Nel 1883 il Fondatore deve affrontare un problema importante: alcuni dei suoi Oblati (allora tutti Fratelli laici) chiedono di intraprendere gli studi per diventare sacerdoti. Dopo una novena a San Giuseppe, il Marello accoglie la domanda, interpretandola come un invito della Provvidenza.
Nel maggio del 1885, il primo di questi candidati, Vincenzo Baratta, giunge alle soglie del sacerdozio; ma non sarà facile ottenere da Mons. Ronco, vescovo di Asti, il consenso alla sua ordinazione. Mentre gli Oblati, a turno, implorano in preghiera l’aiuto di San Giuseppe, il difficile consenso è concesso e don Baratta diventa il primo sacerdote Oblato, dopo don Cortona.
Fatto Vescovo di Acqui, Mons. Marello celebra il suo primo Pontificale tra i suoi Oblati, in Santa Chiara: sceglie, per questo, il giorno di San Giuseppe (19 marzo 1889).
Il 16 settembre 1889, Mons. Marello accoglie con gioia e comunica con prontezza alla Diocesi l’Enciclica di Leone XIII sulla devozione a Maria Santissima e a San Giuseppe.
Ottobre 1889: presso la portineria di Santa Chiara viene eretta un’edicola in onore di San Giuseppe, con la scritta "Ite ad Joseph" . Negli anni seguenti, la statua del Santo, opera dello scultore Minoia di Torino, viene portata in chiesa per tutto il mese di marzo.
Nelle Prime Regole della Congregazione di San Giuseppe (1892), volute dal Fondatore e da lui personalmente riviste e corrette, al cap. I si legge: "Entrando uno a far parte della Congregazione di S. Giuseppe, dovrà rinunziare al mondo e a se stesso per consacrarsi interamente a Dio con l’osservanza dei suoi santi Comandamenti e con la pratica dei Consigli Evangelici, per imitare così S. Giuseppe che fu il primo modello della vita religiosa, avendo avuto egli continuamente sotto gli occhi quell’esemplare Divino, che l’Eterno Padre per sua misericordia volle mandare al mondo perché insegnasse la via del cielo. La congregazione ha per Patrono S. Giuseppe, perciò i suoi membri sono chiamati Oblati di San Giuseppe e si fanno studio speciale di onorarlo e di amarlo come padre, imitandone le virtù e propagandone la devozione."
Il 29 giugno 1893 si inaugura solennemente la nuova Casa di Frinco d’Asti, la prima fuori di Santa Chiara. Sull’ingresso del castello viene posta una statua di San Giuseppe con la scritta: "Posuerunt me custodem: mi hanno posto come custode".
L’anno 1895 è l’anno della morte del Fondatore, ma segna anche il culmine di una dolorosa vertenza con la Piccola Casa di Torino per la proprietà di Santa Chiara in Asti. Gli Oblati, a un certo punto, pensano di ritirarsi tutti a Frinco, portandosi dietro la statua di San Giuseppe della portineria, che allora stava in chiesa per il mese di marzo. Da Acqui il Fondatore li dissuade dal loro progetto e li assicura: San Giuseppe ci ha messi negli imbrogli, Egli ci sbroglierà. Gli Oblati, rassicurati, riportano la statua nella sua edicola e sicuri della grazia richiesta offrono anticipatamente al Santo un cuore d’argento in ringraziamento.
4 marzo 1895: nell’ultima lettera indirizzata agli Oblati prima della sua morte (che avverrà il 30 maggio), Mons. Marello raccomanda ancora una volta: "State tutti di buon animo sotto il paterno manto di San Giuseppe, luogo di sicurissimo rifugio in tribulationibus et angustiis [nelle tribolazioni e nelle angustie]."

domenica, maggio 04, 2008

FAMIGLIA, LAVORO E QUOTIDIANITA' - Intervista all'arcivescovo mons. Beniamino Depalma



In quanto Pastore della diocesi di Nola, quali priorità vede più urgenti per la Chiesa sul territorio?


Tre le priorità che individuo per la mia gente: L’Annuncio, l’Ascolto e la Testimonianza. Sono tre atteggiamenti e tre esperienze che si richiamano reciprocamente e che manifestano lo stile di Dio e devono essere sperimentate per lo stile del suo Popolo.
Bisogna riprendere ad annunciare “Gesù Cristo morto e risorto per noi”, l’antica formula della professione di fede che ha bisogno di non essere semplicemente ripetuta sulle nostre labbra quanto creduta profondamente. Dobbiamo riscoprire nelle nostre vite la capacità di incarnarci nella storia che viviamo, cogliere la scintilla di Dio nelle vicende che sperimentiamo, avvertire la compagnia di Dio nel mondo della sofferenza e del non senso, allargare i nostri orizzonti nel cogliere la realtà non solo nel ristretto mondo dell’empirico, vivere profondamente il clima del dono in cui, continuamente, le nostre vite sono impastate.
Riprendere la capacità di ascoltare, uscire dal mondo delle parole per entrare nell’universo della comunicazione. Sentire Dio che parla, il mondo che parla non significa ascoltare. Si tratta piuttosto di saper cogliere lo spazio interiore per accogliere il messaggio, per scoprire le profondità, è questo che ci qualifica come comunità credente.
Infine la testimonianza ossia la capacità di andare controcorrente per affermare la signoria di Dio e la dignità dell’uomo.


Che impressione ha avuto di S. Giuseppe Vesuviano nelle sue visite?
S. Giuseppe Vesuviano è una comunità che risente fortemente degli stili di vita di una impostazione legata all’idea del commercio. È inutile sottolineare come la logica dell’interesse ha preso il sopravvento su quella della gratuità e del dono. Tuttavia andando oltre l’apparenza e leggendo nelle pieghe di quella storia che non va alle cronache dei giornali ma che si costruisce sull’esperienza dell’uomo comune, ecco che il volto di questa cittadina cambia. Vi sono tanti fermenti di una vita accogliente, che tende all’attenzione ai giovani, a coloro che si trovano in difficoltà, alla possibilità di uno spazio per gli stranieri. È vivace il tessuto solidale di questa comunità che, attrezzandosi anche in maniera originale e avvalendosi di un folto numero di volontari, riesce a far diventare storia di condivisione e di solidarietà anche il momento della difficoltà o dell’abbandono. Su questo campo molto ancora da compiere, ma certamente un cammino già proficuo quello attuato.


Quale significato dare oggi al santuario e alla devozione verso san Giuseppe?
La presenza di un Santuario sul territorio è una grazia dello Spirito. È questo un luogo in cui è possibile un approccio diverso con l’esperienza di fede. È uno spazio in cui si dovrebbe trovare, con maggiore disponibilità, la possibilità di un’accoglienza all’ascolto; una maggiore tranquillità per la celebrazione del sacramento della riconciliazione; uno spazio idoneo per l’adorazione perpetua. Oggi un Santuario dovrebbe assicurare il servizio di un luogo in cui ritrovarsi e ritrovare Dio. Nello specifico lo stile di un santuario che si ispira alla figura di S. Giuseppe dovrebbe promuovere una riflessione su tre campi: la famiglia, il lavoro e il valore della quotidianità.


Ha una "consegna" da lasciare ai nostri lettori?
Più che una consegna un invito: vivere bene il proprio battesimo, non tirandosi mai indietro di fronte alle sfide della vita, e avvertendo che la salvezza si è fatta carne ed è entrata nella storia, questa salvezza è Gesù Cristo, l’unico Signore, che in questa storia ci chiede di essere testimoni della sua gioia.