sabato, gennaio 09, 2010

ANNUNCIO A GIUSEPPE


La melodia di White Christmas può essere anche gradevole, ma il Natale nella sua genesi profonda non potrà mai essere "bianco" a livello etnico; eventualmente potrà esserlo solo a livello climatologico (ho anch'io in mente una Betlemme di molti anni fa tutta innevata). Fino a prova contraria, infatti, i protagonisti di quell'evento erano semiti e non certo ariani, la loro pelle era olivastra, i loro profili somatici erano simili a quelli degli arabi o degli israeliani nati nell'attuale Vicino Oriente. Ebbene, all'interno di quella famiglia semita vorremmo ora mettere in primo piano colui che nella tradizione è rimasto quasi sempre sullo sfondo, sì, proprio il capofamiglia, Giuseppe, un nome chiaramente ebraico che significa «Dio aggiunga!» o «che egli raduni!». È un nome portato da altri sei personaggi biblici, tra i quali il più celebre è quel figlio di Giacobbe che fece fortuna in Egitto divenendo da schiavo viceré, così da trasformarsi secoli dopo nel protagonista del fluviale romanzo Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann.La presenza del nostro Giuseppe, il padre legale e non naturale di Gesù, è nei Vangeli esile: affiora nella genealogia di Cristo; appare come il promesso sposo di Maria (Luca 1, 27), sarà menzionato durante la nascita di Gesù a Betlemme (Luca 2,4-5), farà qualche altra fugace apparizione nei primi giorni del neonato, acquisterà rilievo durante la vicenda di clandestino e migrante in Egitto, riemergerà dal silenzio anni dopo quando occhieggerà nelle parole di sua moglie, Maria, in occasione della "fuga" del figlio dodicenne nel tempio di Gerusalemme tra i dottori della Legge («tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo», Luca 2, 48), e sarà ricordato con sarcasmo dai suoi concittadini di Nazaret, quando di fronte ai successi del figlio ironizzeranno: «Ma costui non è il figlio di Giuseppe..., il figlio del falegname?» (Luca 4, 22; Matteo 13, 55). Ci sono, però, due scene nelle quali Giuseppe è protagonista. Sono le uniche e riguardano proprio il Natale.Rievochiamo la prima: è la cosiddetta «annunciazione a Giuseppe» ed è narrata dall'evangelista Matteo (1, 18-25). Leggiamola insieme: «Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati". Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: "Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi". Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù».Per capire il comportamento iniziale di Giuseppe nei confronti di Maria, dobbiamo entrare, almeno sommariamente, nel mondo delle usanze matrimoniali dell'antico Israele. Il matrimonio comprendeva due fasi ben definite. La prima – denominata qiddushin, cioè «consacrazione», perché la donna veniva «consacrata» al suo sposo – consisteva nel fidanzamento ufficiale tra il giovane e la ragazza che solitamente aveva dodici o tredici anni. La ratifica di questo primo atto comportava una nuova situazione per la donna: pur continuando a vivere a casa sua all'incirca per un altro anno, essa era chiamata e considerata già «moglie» del suo futuro marito e per questo ogni infedeltà era ritenuta un adulterio. La seconda fase era chiamata nissu'in (dal verbo nasa', ossia «sollevare, portare») in quanto ricordava il trasferimento processionale della sposa che veniva «portata» nella casa dello sposo, un avvenimento che fa da sfondo alla parabola di Gesù che ha per protagoniste le ancelle di un festoso corteo nuziale notturno (si veda Matteo 25, 1-13). Questo atto suggellava la seconda e definitiva tappa del matrimonio ebraico. Il racconto che abbiamo letto sopra si colloca, allora, nella prima fase, quella del fidanzamento-«consacrazione»: «Prima che andassero a vivere insieme col trasferimento alla casa di Giuseppe, Maria si trovò incinta».Giuseppe è di fronte a una scelta drammatica. Il libro biblico del Deuteronomio era chiaro e implacabile: «Se la giovane non è stata trovata in stato di verginità, allora la faranno uscire all'ingresso della casa del padre e la gente della sua città la lapiderà a morte, perché ha commesso un'infamia in Israele, disonorandosi in casa del padre» (22, 20-21). Nel giudaismo successivo, però, aveva preso strada un'altra norma più moderata, quella che imponeva il ripudio. Come si è spiegato, trattandosi già di una vera e propria «moglie», si doveva celebrare un divorzio ufficiale con tutte le conseguenze civili e penali per la donna. È curioso ricordare che a Murabba'at, nei pressi del Mar Morto, è venuto alla luce anni fa un atto di ripudio del 111 d.C., scritto in aramaico e riguardante due sposi che si chiamavano Maria e Giuseppe.
Ma ritorniamo a Giuseppe e alla sua decisione. Egli deve «ripudiare» Maria a causa della legge che lo obbliga a questo; essendo uomo «giusto», cioè obbediente alla legge dei padri, egli si mette su questa strada amara, ma, essendo uomo «giusto», che secondo il linguaggio biblico significa anche mite, misericordioso, buono, lo vuole fare nella forma più delicata e più attenta per la donna. Sceglie la via «segreta», senza denunzia legale, senza processo e clamore, alla presenza dei soli due testimoni necessari per la validità dell'atto di divorzio, cioè la consegna del cosiddetto «libello di ripudio». Certo, la nostra sensibilità ci fa subito dire: che ne sarebbe stato di Maria? La risposta è purtroppo chiara e inequivocabile: sarebbe stata un'emarginata totale, rifiutata da tutti, accolta forse solo dal clan paterno assieme al figlio illegittimo che avrebbe generato. È nota a tutti, infatti, la triste situazione della donna nell'antico Vicino Oriente. Ma lasciamo da parte questa ipotesi irreale e ritorniamo a Giuseppe e al suo dramma interiore, per altro non lontano da quello vissuto da tante coppie di fidanzati.La sua oscura tensione è, all'improvviso, squarciata da una luce: l'angelo nella Bibbia è per eccellenza il segno di una rivelazione divina come il sogno (se ne contano cinque nel Vangelo dell'infanzia di Gesù secondo Matteo) è il simbolo della comunicazione di un mistero. «Non temere di portare Maria a casa tua», completando così anche la seconda fase del matrimonio (nissu'in), dice l'angelo a Giuseppe. Ed è qui che scatta la grande rivelazione del mistero che si sta compiendo in Maria: «Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo». È questa la sorpresa straordinaria che dovrà sconvolgere la vita di Giuseppe, sorpresa molto più forte di quella di avere la propria donna incinta di un altro uomo. Si apre, allora, per Giuseppe una vita nuova e una missione unica. Egli, che è «figlio di Davide» (è l'unica volta nei Vangeli in cui questo titolo non viene applicato a Gesù), dovrà trasmettere la linea ereditaria davidica al figlio di Maria nella qualità di padre legale. Potremmo dire che, come Maria è colei per mezzo della quale Gesù nasce nel mondo come figlio di Dio, Giuseppe è colui per mezzo del quale Gesù nasce nella storia come figlio di Davide.La paternità legale o «putativa» in Oriente era molto più normale di quanto possiamo immaginare. Esemplare è il caso del «levirato» (dal latino levir, cognato) così formulato nel Deuteronomio: «Quando uno dei fratelli di un clan morirà senza lasciare figli, la moglie del defunto verrà presa in moglie dal cognato; il primogenito che essa metterà al mondo, andrà sotto il nome del fratello morto perché il nome di questi non si estingua in Israele» (25, 5-6). In altre parole, il padre reale di questo figlio è il cognato, ma il padre legale resta il defunto che attribuisce al neonato tutti i diritti ereditari. Come padre ufficiale di Gesù, Giuseppe esercita il diritto di imporre il nome riconoscendolo giuridicamente.Nella Bibbia il nome è il compendio simbolico di una persona, è la sua carta d'identità: perciò, anche se si hanno delle eccezioni (è Eva a chiamare «Set» il suo secondo figlio), è il padre a dichiarare il nome del figlio e Giuseppe sa già che per il figlio di Maria c'è un nome preparato da Dio. «Gesù» è l'equivalente di Giosuè, e a livello di etimologia popolare e immediata significa «Il Signore salva», come è spiegato dall'angelo: «Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».Anche san Pietro in un suo discorso registrato dagli Atti degli Apostoli afferma: «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (4, 12). A un'analisi più filologica «Gesù» significa letteralmente «Il Signore aiuta» o «Il Signore dà la vittoria», un senso abbastanza vicino a quello tradizionale.Nella narrazione di Matteo c'è un ultimo dato da decifrare. È nella frase finale, quella della nascita di Gesù, che letteralmente suona così: «Giuseppe prese con sé la sua sposa e non la conobbe prima che gli partorisse il figlio». Sappiamo che nella Bibbia il verbo «conoscere» è un eufemismo per alludere all'atto matrimoniale. Sulla frase per secoli si è accesa un'aspra discussione teologica riguardante la verginità perpetua di Maria e la presenza nei Vangeli dei cosiddetti «fratelli e sorelle di Gesù».In realtà il testo di Matteo nel suo tenore originale non affronta la questione, dal momento che in italiano, quando si dice che una cosa non succede «fino a» un certo tempo, si suppone di solito che abbia luogo dopo: Giuseppe non ha avuto rapporti con Maria fino alla nascita di Gesù, ma in seguito avrebbe potuto averli. In greco, invece, e nelle lingue semitiche si vuole mettere l'accento solo su ciò che avviene fino alla scadenza del «finché»: Giuseppe non ebbe rapporti con Maria, eppure nacque Gesù. Il tema fondamentale è, perciò, quello della concezione verginale di Maria. Il Cristo non nasce né da seme umano né da volere della carne, ma solo per lo Spirito di Dio che opera in Maria vergine. Corretta è allora la traduzione che ci propone la Bibbia ufficiale italiana da noi sopra adottata e che risuonerà anche nella liturgia natalizia: «Senza che Giuseppe la conoscesse, Maria partorì un figlio».Parlavamo prima di due scene in cui Giuseppe è protagonista. Alla seconda – che abbiamo già avuto occasione di presentare in passato proprio su queste pagine – dedichiamo solo un cenno. La famiglia di Gesù si iscrive subito nel lungo elenco che giunge fino ai nostri giorni e che comprende i profughi, i clandestini, i migranti. Ecco, infatti, quando il bambino Gesù ha pochi mesi, Giuseppe in marcia con lui e con la sposa Maria attraverso il deserto di Giuda per riparare in Egitto, lontano dall'incubo del potere sanguinario del re Erode. Anche in questo caso siamo proprio agli antipodi di quel «Natale bianco» assurdamente prospettato da certe attuali ignoranze religiose e da isterie xenofobe. Il Natale cristiano ha, in verità, per protagonisti una famiglia di fuggiaschi e migranti con la loro storia di sventure. «Il cristianesimo – scriveva nei suoi quaderni il filosofo Wittgenstein – non è una dottrina, non è una teoria di ciò che è stato e sarà nell'anima umana, ma la descrizione di un evento reale nella vita dell'uomo».Vorremmo, allora, far risuonare a suggello di questo «Natale di Giuseppe» le parole – forse un po' oratorie e magniloquenti ma dalla sostanza inequivocabile – di uno scrittore "scandaloso" come Curzio Malaparte che in un articolo del Natale 1954 ammoniva: «Tra pochi giorni è Natale e già gli uomini si preparano alla suprema ipocrisia... Vorrei che il giorno di Natale il panettone diventasse carne dolente sotto il nostro coltello e il vino diventasse sangue e avessimo tutti per un istante l'orrore del mondo in bocca... Vorrei che la notte di Natale in tutte le chiese del mondo un povero prete si levasse gridando: Via da quella culla, ipocriti, bugiardi, andate a casa vostra a piangere sulle culle dei vostri figli. Se il mondo soffre è anche per colpa vostra, che non osate difendere la giustizia e la bontà e avete paura di essere cristiani fino in fondo. Via da questa culla, ipocriti! Questo bambino, che è nato per salvare il mondo, ha orrore di voi!».


Gianfranco Ravasi