giovedì, marzo 18, 2010

ICONA DEL CREDENTE



San Giuseppe tra fortuna ufficiale e dimenticanza di fatto.

1.1 Corre sempre il rischio di essere dimenticato, tralasciato, messo in disparte. Eppure: il nome di Giuseppe (con tutte le possibili inflessioni) è il più diffuso in Italia e quello di Giuseppina è terzo dopo Maria e Anna. 500 parrocchie in Italia sono a lui intitolate e un centinaio di cattedrali in 45 nazioni (Dati da Vita Pastorale, marzo 2005, 73).

1.2 Inoltre san Giuseppe è stato oggetto di grandi riconoscimenti: Patrono della Chiesa universale (Pio IX, 1870); protettore del Concilio Vaticano II (Giovanni XXIII, 1961). Se poi ricordiamo i santi suoi devoti, abbiamo nomi di primo piano: Agostino, Tommaso, Teresa d’Avila, San Francesco di Sales. Senza nominare tutti i fondatori e le fondatrici che a lui hanno affidato la famiglia religiosa da essi fondata. Ultimamente: don Giussani consigliava di dire tre gloria in onore di San Giuseppe di fronte a particolari problemi; la beata Madre Teresa di Calcutta, lo ha voluto compatrono della sua congregazione accanto a Maria Immacolata. Forse per chi è giovane, e magari tanto devoto di san Giuseppe, risulta difficile iscriversi al sodalizio della Buona Morte dei Gesuiti o alla unione, fondata da don Guanella, del Transito di San Giuseppe, patrono della buona morte. Si sa però che anche i giovani muoiono…

1.3 Anche chi lo loda alla fine rischia di emarginarlo. Quando si insiste su alcune caratteristiche così lontane e diverse rispetto alla cultura attuale, (silenzioso, obbediente, vita nascosta ed umile), alla fine si fa nascere l’idea che è un personaggio lontano, difficile. Che cosa ci può dire un “tipo” così? Nulla o poco.


Forse c’è il punto di partenza da chiarire

2.1 Di chi parliamo? Di un personaggio e basta? Di un certo uomo vissuto tanto tempo fa coinvolto in una vicenda strana e complessa? Tutto questo può avere interesse ma non credo che ci serva più di tanto.

2.2 Parliamo di un credente, di un uomo interpellato nella sua fede e nel legame tra la fede e la vita; per questo lo sentiamo vicino perché in lui scopriamo alcuni passaggi del credere che sono anche i nostri, che sono di qualsiasi credente.


Alcuni tratti di una fede adulta

3.1 “Stava pensando a queste cose” (Mt 1,20): il dubbio che purifica la fede e ci mette di fronte al mistero; bisogna pensare, riflettere, farci interpellare dalla realtà.

3.2 “Non temere” (Mt 1,20): la fede come fiducia ed affidamento, perché si mette in ascolto; un pensare che non chiude in se stessi ma che si apre ad una luce diversa, esterna a noi.


3.3 “Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21): la fede è accettare che la propria piccola storia (due fidanzati di un piccolo paese) faccia parte di una grande storia (la storia della salvezza).

3.4 “Prese con sé la sua sposa” (Mt 1,24): la fede condivisa, la fede come il mistero profondo di unione e di comunione tra Giuseppe e Maria, e di loro come “coppia” davanti al Signore.


3.5 “Suo padre e sua madre si stupivano di quello che si diceva di Lui”(Lc 2,33): la fede è cammino, è “peregrinatio fidei”; perché non fa perdere lo stupore che Gesù è sempre un poco diverso da come noi lo vorremmo incasellare nei nostri concetti, nelle nostre idee.

Non sappiamo quando e come Giuseppe morì. Pare che in lui si compia la parola del vangelo: “Così anche voi quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Lc 17,10)”. Se hai compiuto il tuo compito di fronte a Dio, la fede è anche lasciare il campo a chi deve venire dopo di te e che è più importante di te. La tua gioia sta nella fedeltà e nel compimento della vocazione ricevuta.

Infine c’è una ultima caratteristica che ce lo rende compagno di viaggio: egli stesso, pur così vicino e partecipe del mistero della redenzione, è un redento, un salvato. Il 19 marzo siamo nel clima della Pasqua e c’è uno tempo-spazio che ci interroga e al quale pensiamo poco, anche perché è difficile pensarlo: Gesù che scende agli inferi (lo diciamo nel “credo degli Apostoli”), il redentore che porta la vittoria sulla morte anche a coloro che nella morte giacciono da tempo ma che hanno atteso, annunciato, operato per la sua venuta. Tra questi c’è anche San Giuseppe.

San Giuseppe, Redemptoris Custos: custodire Gesù, farLo crescere, dentro e attorno a noi.

San Giuseppe: icona del credente.


Tullio Locatelli

lunedì, marzo 01, 2010

SAN GIUSEPPE IN INDIA


Su di una lingua di terra fra il mare Arabico e le lagune, nella località di Kannamaly, vicino alla città di Cochin, nello stato indiano del Kérala, sorge una chiesa dedicata a S. Antonio, che è uno dei più frequentati luoghi di pellegrinaggio della diocesi di Cochìn. I fedeli giungono, a decine di migliaia, soprattutto il 19 marzo, in occasione della festa di san Giuseppe, venerato in un semplice santuario accanto alla chiesa principale. Essi invocano il custode di Gesù contro le varie malattie e possibili calamità, sicuri che li accoglierà fra le sue braccia, come era solito prendere Gesù.
La chiesa di Kannamaly ha una storia secolare. Il primo edificio risale al 1745, ma fu ben presto spazzato via dalle onde dell’oceano Indiano. Nel 1796 venne costruita una nuova chiesa, con annessi canonica e cimitero; anche questa però, dopo poco più di un secolo, nel 1905, dovette subire la furia del mare. Questa volta la violenta tempesta, oltre ai danni materiali, provocò anche molte vittime, e il successivo insorgere del colera per poco non sterminò l’intero villaggio. Nel cimitero non c’era più spazio per seppellire i morti.
Per il p. Suarez, il parroco, fu un’esperienza da spezzare il cuore; vedendo le sofferenze della sua gente, egli organizzò campi di soccorso, e pregò intensamente per ottenere l’aiuto di Dio. Un giorno, il 17 marzo, mentre pregava, il parroco ebbe una forte esperienza mistica, che gli fece perdere i sensi. Il giorno dopo egli si rivolse ai suoi fedeli: “Miei cari, quasi tutti i parrocchiani sono morti. Abbiamo perso i nostri cari. Le nostre case sono diventate luogo di lamenti, come tombe. Tutti noi abbiamo subìto la furia della natura. Presto o tardi il colera ucciderà anche noi, non abbiamo più speranza. Domani è il 19 marzo, festa di san Giuseppe, il patrono della buona morte. Miei cari e amati fedeli, venite in chiesa, domani, e portate il vostro pranzo. Celebreremo la Messa e poi mangeremo il nostro ultimo pasto insieme nello spiazzo davanti alla parrocchia; quindi potremo morire in pace, sotto la protezione di san Giuseppe.”
La gente fece come il parroco aveva detto, ma, prodigiosamente, dopo quel pasto comunitario nessuno più morì, e l’epidemia cessò. Gli abitanti del villaggio attribuirono a san Giuseppe la loro salvezza e lo proclamarono loro protettore. Ora si trattava di ricostruire la chiesa. I lavori ebbero inizio nel 1907, e fu deciso di dedicarla a S. Antonio perché la sua immagine era l’unico oggetto che non era stato spazzato via dalle onde nel 1905. Essi pensavano che la forza della natura aveva potuto prendersi tutto, ma non era stata abbastanza potente da spezzare l’affetto di S. Antonio per la gente di Kannamaly, e che dunque S. Antonio avrebbe preservato dal mare la nuova chiesa.
Ma nonostante questo, la chiesa di Kannamaly è principalmente frequentata dai devoti di san Giuseppe. Ogni anno sono moltissimi a radunarsi il 19 marzo, e mangiare il riso benedetto e offerto a tutti. Si crede che questo cibo di san Giuseppe protegga da tutte le malattie. La devozione continua a diffondersi, anche nel resto dell’anno, e la preghiera di fronte alla statua di san Giuseppe, conservata nel piccolo santuario davanti alla chiesa, è ormai ininterrotta.

Eugenio Beni