domenica, dicembre 30, 2007

IL PRESEPIO DI SAN GIUSEPPE a piazza San Pietro


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 20 dicembre 2007 (ZENIT.org).- Il presepio di San Pietro ricorda l'importanza del padre nella famiglia, afferma l'esperta d'arte cristiana Elizabeth Lev.
Il presepe di quest'anno, che verrà svelato la Vigilia di Natale, offrirà un nuovo punto di vista, come ha sottolineato la settimana scorsa il Segretario di Stato vaticano. Più che una mangiatoia o una stalla, il presepe mostrerà la casa di San Giuseppe, riflettendo la storia della nascita di Cristo riportata nel Vangelo di San Matteo anziché il tipico brano di San Luca.
Parlando a ZENIT, Elizabeth Lev ha affermato che “questo presepe non è tanto una rottura con la tradizione, quanto la presentazione di un nuovo aspetto del presepio, che rivela un nuovo lato”.
“Cerca di rappresentare l'esperienza di Giuseppe, il suo sogno di ciò che accadrà sapendo che nascerà Gesù e che Maria è incinta. Non aveva alcuna idea del modo in cui sarebbe andata mentre si preparava ad assumere questo compito affidatogli da Dio attraverso il messaggio di un angelo. E' quindi ciò che immagina a casa sua nel suo contesto lavorativo prima che questo avvenga”.
“Ciò pone Giuseppe e l'accettazione della sua chiamata nella storia”, ha aggiunto la Lev. “Giuseppe non è mai il protagonista del presepe, ma il suo ruolo è fondamentale. Non si tratta quindi di uno sconvolgimento della tradizione biblica, ma si mostra un aspetto diverso, guardando ad esso in una luce differente”.
“Nelle rappresentazioni della natività c'è sempre una figura materna, ma questo presepe rimarca l'importanza della figura paterna, il fatto che il padre è fondamentale. Ricorda che il Bambino non è nato solo a una madre, fornendo una fonte di meditazione durante questo periodo in cui affrontiamo la battaglia contro il matrimonio e la famiglia”.
“E' una buona via per la Chiesa di ricordarci, in modo non aggressivo e non politico, le basi della nostra comprensione della famiglia attraverso la Sacra Famiglia”.
“E' un presepio molto vicino a Joseph Ratzinger, un presepio che insegna”, ha concluso. Quest'anno i personaggi vengono disposti in modo tale da farci pensare “a ciò che significa questa nascita importantissima, alle circostanze in cui Gesù è nato, ricordandoci anche il ruolo essenziale di Giuseppe”.

martedì, dicembre 18, 2007

SPOSA DI GIUSEPPE


Quando siamo “stretti dalla tribolazione” e non ci mancano sofferenze e preoccupazioni, abbiamo motivi in più per implorare pace e salvezza, per ricorrere al soccorso celeste, a Maria che Cristo ci ha dato per Madre e al suo Sposo Giuseppe.
Consideriamo la verità del matrimonio tra Maria e Giuseppe: vincolo d’amore evidentemente unico al mondo eppure quanto mai esemplare per tutti. Come è vero che gli sposi cristiani hanno tanto da imparare da quei due santi Sposi! L’amore forte e indissolubile l’uno per l’altra, il rispetto del progetto di Dio sulla coppia, l’aiuto vicendevole nella gioia e nel dolore, la sottomissione alla legge e ai comandamenti, la semplicità della vita quotidiana, la dedizione al proprio figlio (che è sempre dono del Cielo), la fedeltà a tutta prova, la laboriosità silenziosa e paziente. Se oggi assistiamo spesso alla crisi della famiglia, alle facili separazioni e ai divorzi, al disimpegno crescente nei riguardi del matrimonio, se anche l’incontro con altre razze, culture e religioni, minano la visione cristiana della vita e del legame coniugale, è ancor più necessario rifarsi al Vangelo e a quella splendida coppia di Giuseppe e Maria che ci viene presentata. Sarebbe dunque significativo se il riferimento ai Santi Sposi non mancasse nelle celebrazioni dei matrimoni e degli anniversari, come pure nelle catechesi per i fidanzati.
Consideriamo l’importanza per noi di questo Sposalizio: ci vuol poco a capire che il primo che ha incontrato e amato Maria è proprio Giuseppe. Il modello perfetto di chi si è totalmente dedicato e consacrato a Lei è il suo Sposo. Chi desidera crescere nel rapporto con la Madre celeste può imparare da san Giuseppe più che da chiunque altro. Chi più di lui, per l’intera sua esistenza, le ha detto – con le parole e con i fatti – “sono tutto tuo”? “Totus tuus”, le ha dichiarato il papa Giovanni Paolo II già all’inizio del suo pontificato e ha rinnovato la sua consacrazione coinvolgendo i fedeli nell’Anno del Rosario. Preghiera bella e contemplativa, ripetitiva ma non stancante. Nel ridire 10, 50, 200 volte “Ave Maria”, non ci si stanca di esprimere alla Madre l’affetto filiale e l’invocazione fiduciosa, meditando il ciclo dei misteri di Cristo, nella gioia e nel dolore, nella luce e nella gloria. E’ una questione di amore, e allora l’incontro con chi si ama nel Rosario è desiderato e ricercato. E’ pure una questione di realismo, e allora si capisce che nel Rosario ci sono tante necessità da presentare, per noi, per i nostri cari, per la Chiesa e per il mondo intero. Viene allora a proposito l’invito di san Leonardo Murialdo ad essere “arcidevotissimi di Maria”.
Consideriamo come gli Sposi non vanno divisi. Afferma il Signore stesso “non osi separare l’uomo ciò che Dio ha congiunto”! Questa indissolubilità vale anche per Maria e Giuseppe. Riflettiamo come sia sbagliato dimenticare lo Sposo e disgiungere l’omaggio mariano da quello di colui che per volontà di Dio le è stato posto accanto come marito e protettore. Se è chiaro che chi si fa amico di san Giuseppe non può non esserlo innanzitutto della sua Sposa, purtroppo spesso si trascura che il vero devoto di Maria deve esserlo anche del suo Sposo. Qualcosa si potrebbe fare. E’ auspicabile ad esempio che nelle preghiere eucaristiche (come nel primo canone) aggiungiamo dopo quello di Maria il ricordo di “san Giuseppe suo sposo”, che nel Rosario teniamo presente san Giuseppe nel legame con i misteri gaudiosi e nella preghiera “a te o beato Giuseppe” dopo il Salve Regina, che nelle litanie invochiamo Maria anche – e doverosamente - come “Sposa di Giuseppe”.

Angelo Catapano

lunedì, dicembre 03, 2007

COME IL TRAGITTO DI UNA STELLA


Come dice la presentazione in copertina, coniugando l’esperienza del grande scrittore con le intuizioni del credente, Ferruccio Ulivi - ben conosciuto in letteratura italiana – si cala nell’anima di Giuseppe, il falegname di Nazareth. Si aggira nell’ambito della sua quotidianità. Racconta la sua storia d’uomo semplice e giusto, di santo non eroico, dalla giovinezza celibataria alle nozze con Maria, dalla nascita di Gesù fino allo spegnersi del suo soffio vitale. Libero ma rispettoso nei confronti dell’esegesi biblica, l’autore si stacca dagli stereotipi sulla mansuetudine e la taciturna pazienza del “vecchio padre putativo”. Fin dal suo affacciarsi all’orizzonte del romanzo, il giovane Giuseppe rivela un’umiltà che non esclude affatto la fierezza, le passioni e i sentimenti. Egli sa di discendere dalla stirpe regale di Davide e si sente chiamato ad una missione provvidenziale. Sogni simili ad apparizioni, in cui il messaggero s’identifica con l’antico re d’Israele, gli preannunciano un destino salvifico. Ma qual è, in concreto, il suo “carisma”? Anziché dissolversi, il mistero si infittisce nella convivenza, nutrita di intensi colloqui, con la moglie e il figlio.
Eccone uno squarcio. Gli dice Gesù dodicenne, dopo il ritrovamento a Gerusalemme: “So che cosa pensi, padre. Lo so, e ne soffro anch’io. Ho avvertito il richiamo che mi hai lanciato nella tua solitudine. Il cuore mi balza verso di te. Ma non c’è tenerezza che basti, anche questo so. E comincio a capire anche un’altra cosa: che su questa terra sono venuto a portare, credo, il mio dono… Il tuo, il mio dolore, è anche il dolore di tutti. E non c’è rimedio. E bisogna mettere a rischio tutto, anche la vita, perché ci sia concesso uno spiraglio di felicità, che del resto non sarà mai perfetta. Vedi, sono queste le cose che ci ispira il Padre che è nei cieli. Di questo ho parlato coi dottori al Tempio. Non ti dispiaccia che ricordi quel giorno. L’abbandono che ho fatto di voi era il prezzo di una conoscenza che dovevo provare prima di tutto sulla mia pelle” (pp. 125-126). Gli dice Maria: “Ho pensato spesso, a lungo, al vincolo che ci unisce. E ti dico in coscienza che non sento di dovermi rimproverare qualcosa. Non siamo noi che scegliamo la strada da percorrere. C’è chi lo fa in vece nostra infinitamente meglio. L’uomo, o la donna, si domanda perché l’abbia fatto. Ma la risposta non ci compete; la coscienza deve seguire sicura, anche se ignora il cammino. Una mano è pronta a sostenerci nei punti facili e in quelli scabrosi. E’ come il tragitto di una stella. Le profondità del firmamento, o mio amato, non ci sgomentano. La confidenza tra noi è senza limiti, ma tutto è affidato alla stessa mano che regola il cammino degli astri” (pp. 145-146). Conclude Giuseppe: “Io sono un uomo umile, e ho capito soltanto questo: che ho un compito, un dovere preciso da assolvere. Qui è il mio banco di prova… Vedi, Maria, le tue parole per me sono sacre, e io accetto tutto da te senza tirarmi indietro” (pp. 147-148).

FERRUCCIO ULIVI, Come il tragitto di una stella, Edizioni San Paolo, pp. 222