domenica, ottobre 22, 2006

GIUSEPPE MARIA GESU'


Questo libro di Lucien Deiss, pubblicato dalle edizioni San Paolo (pp. 170), ci riporta alla formazione umana di Gesù a Nazaret, evidenziando l’influsso che hanno su di lui e sulla predicazione successiva il contesto storico-ambientale, e particolarmente i suoi genitori. Da qui l’ordine dei personaggi posto nel titolo e spiegato già nell’introduzione: “Noi diciamo oggi: Gesù, Maria, Giuseppe. Un tempo a Nazaret si diceva: Giuseppe, Maria, Gesù. O in modo ancora più familiare: Giuseppe, Maria e il piccolo”. Certo rimane il mistero; non si tratta di un bambino qualunque. “Egli domina i secoli eterni, ma Giuseppe e Maria lo hanno contemplato neonato adagiato in una mangiatoia… Egli proclama la legge nuova, ma sono Giuseppe e Maria che gli hanno insegnato a parlare… Artefice dell’universo, tiene le stelle nella sua mano, ma è Giuseppe che gli ha insegnato a piallare le tavole e a servirsi di una squadra”. In definitiva, se Gesù è l’Uomo perfetto “lo splendore di questa umanità rivela, come in un specchio, la bellezza di Giuseppe e di Maria” (pp. 3-6). Così, con gioia e stupore, ma anche con discrezione e umiltà, l’autore conduce il lettore a scoprire come non poco di ciò che troviamo nel Figlio sia riconducibile alla madre e al padre terreno, alla loro osservanza di quelle che erano le pie tradizioni ebraiche del tempo e dei luoghi della Galilea
Il primo capitolo si addentra specificamente nel rapporto tra Giuseppe e Gesù. Ci si accosta alla sua paternità straordinaria, anzi così unica che”non c’è un nome sulla terra per indicare una paternità del genere” (p. 8). Ed è vero, tutte le definizioni trovate appaiono inadeguate: padre putativo, verginale, nutrizio ecc. Sono nomi che dicono qualcosa, ma certo non esaustivi. In realtà “ciò che fa la bellezza inesprimibile di questa paternità rimane il segreto tra Dio e Giuseppe” (p. 9). Giuseppe il falegname ha insegnato al figlio il mestiere e più ancora il valore del lavoro per il pane quotidiano e per la vita eterna. Giuseppe il giusto gli ha trasmesso la fede di Israele e la preghiera dello Shemà: “sublime famiglia dove il figlio del cielo riceve dal padre della terra la Legge venuta dal cielo!” (p. 22). Giuseppe icona del Padre celeste è per Gesù il terreno papà (abbà) che gli rappresenta l’amore paterno di Colui che tutti invochiamo “Padre nostro”, tanto che “benediciamo Giuseppe che, a causa della tenerezza che Dio aveva deposto nel suo cuore verso il bambino, fu l’iniziatore della preghiera cristiana” (p. 26). Giuseppe l’obbediente riflette espressamente l’abbandono di Gesù alla volontà del Padre. Giuseppe sposo di Maria è chiaramente presente a Gesù quando parla del matrimonio e dell’adulterio, o degli invitati alla festa di nozze. Il rapporto tra Giuseppe e la sempre Vergine diventa il modello del casto amore e dei cuori consacrati. Consideriamo che “per creare Maria Dio inventò il cuore di Giuseppe”, lo unì a quello di Lei che trovò nello sposo il disegno di Dio. Pensiamo che “il cuore di Giuseppe dovette essere davvero bello per dare la nascita a così tante meraviglie nel cuore di Maria!” (p. 37).

domenica, ottobre 15, 2006

IL ROSARIO CON SAN GIUSEPPE


Ottobre: mese del rosario. Preghiera splendida, contemplativa con Dio e unitiva con i fratelli. Pregare insieme il rosario in casa unisce la famiglia, pregarlo in chiesa unisce la comunità. Ci fa stare in compagnia col Signore, la Madonna, san Giuseppe, i santi. In comunione con la Vergine del rosario di Pompei, di cui riportiamo il dipinto nelle pagine centrali, approfittiamo di questo periodo per riprendere con maggiore impegno la sua recita quotidiana.
Il rosario con Maria e Giuseppe. Non dividiamo i due sposi nella nostra preghiera. Ricordiamoci, dopo la Salve Regina, di rivolgerci allo Sposo con la preghiera di Leone XIII “A te o beato Giuseppe”, che quel Papa ha esortato a recitare in particolare nel mese di ottobre. E’ poi da invocare Maria nelle litanie anche col titolo “Sposa di Giuseppe”. Prima dell’enunciazione dei misteri, si può aggiungere l’invocazione: “Lodato sempre sia – il santo nome di Gesù, di Giuseppe e di Maria”. Nella contemplazione dei misteri stessi, specie nei gaudiosi, si può ricordare san Giuseppe: nel primo l’annunciazione a Maria e a Giuseppe; nel secondo la visita ad Elisabetta e lo sposalizio con san Giuseppe; nel terzo la nascita di Gesù accolto da Maria e da Giuseppe; nel quarto la presentazione al tempio da parte di Giuseppe e di Maria; nel quinto Maria e Giuseppe che ritrovano Gesù. Nel quinto mistero glorioso si contempla la gloria di Maria, di san Giuseppe e di tutti i santi.
Il rosario con san Giuseppe. Specie il mercoledì e nei giorni anteriori al 19 marzo o al primo maggio, si potrebbe recitare il rosario col nostro santo. L’Ave Maria potrebbe essere sostituita dall’Ave Ioseph. Una versione che la ricalca fedelmente e con ritmo analogo è la seguente: Ave Giuseppe, pieno di grazia, il Signore è con te. Tu sei benedetto fra gli uomini, e benedetto è il frutto della tua Sposa, Gesù. O san Giuseppe, padre del Figlio di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen. L’enunciazione dei misteri potrebbe essere fatta a questo modo. I gaudiosi: nel primo l’annunciazione a san Giuseppe; nel secondo lo sposalizio di san Giuseppe con la Vergine Maria; nel terzo la nascita di Gesù accolto da Maria e Giuseppe; nel quarto la circoncisione e la presentazione di Gesù da parte di Giuseppe e Maria; nel quinto il ritrovamento di Gesù da parte di Maria e Giuseppe. I misteri dolorosi: 1° il dubbio di Giuseppe; 2° la strage egli innocenti; 3° l’esilio in Egitto; 4° lo smarrimento di Gesù; 5° la morte di Giuseppe. I misteri gloriosi: 1° Giuseppe padre terreno di Gesù; 2° Casto Sposo di Maria; 3° Capo della Santa Famiglia; 4° Protettore della buona morte; 5° Patrono di tutta la Chiesa. Alla fine si conclude con le litanie di san Giuseppe.
L’omaggio del rosario. Come una corona di rose, il devoto omaggio del rosario viene così posto sul capo dei due santi Sposi. L’indissolubile comunanza voluta da Dio nella scelta di Maria e di Giuseppe nel cooperare al mistero dell’Incarnazione dà ragione ad unire in tale preghiera l’ossequio sia all’una che all’altro. D’altronde il rosario è preghiera rivolta al Signore nella meditazione della storia della salvezza, innestata genuinamente nel Vangelo. In essa, come ha affermato quest’anno il papa Benedetto XVI, san Giuseppe “riveste un’importanza fondamentale”. Non appaia dunque strano o fuorviante abbinare Maria e Giuseppe nella recita del rosario, o accomodare all’uno quanto si dice dell’altra. Del resto non è una novità: già cent’anni fa il nostro fondatore don Giuseppe Ambrosio, nel volumetto “Ite ad Ioseph”, proponeva una tale pratica di pietà, con tanto di indulgenza concessa dal Vescovo diocesano dell’epoca.

Angelo Catapano

domenica, ottobre 08, 2006

AMATO MA NON STIMATO - Intervista a Tarcisio Stramare


Quali aspetti della “teologia giuseppina” sono maggiormente attuali?
Per la verità, c’è ancora chi obietta che è esagerato parlare di “teologia giuseppina”, dando per scontato che la figura di san Giuseppe è del tutto “marginale” nella storia della salvezza. Rispondiamo subito a questa tanto errata quanto diffusa convinzione, suffragata dalla totale assenza di san Giuseppe nei manuali di teologia, che, proprio al contrario, pochi personaggi appartengono, invece, come san Giuseppe alla “sacra dottrina” e a quanto in essa “è ordinato a Dio”, secondo il pensiero di san Tommaso, il quale, seguendo il procedimento del vangelo secondo Matteo, ne considera la presenza e il ruolo proprio trattando “l’entrata del Figlio di Dio nel mondo”, all’interno dei misteri della vita di Cristo.
Origene compendia la missione di san Giuseppe, definendolo “l’ordinatore della venuta del Signore”; da parte sua, san Giovanni Crisostomo gli riconosce il titolo di “ministro della salvezza”. Altro che figura “insignificante”, come qualche teologo dilettante si ostina a qualificarlo. Nessuna preoccupazione, dunque, di non essere “cristocentrici”, come oggi giustamente si esige, se ci occupiamo di san Giuseppe!
Precisato questo, è facile comprendere come i differenti aspetti della “teologia giuseppina”, essendo strettamente connessi al mistero dell’Incarnazione, fondamento della Redenzione, siano al centro del Cristianesimo e, perciò, tutti attuali. E’ chiaro che, se ci riferiamo all’ambito pastorale, sono più urgenti quelli che riguardano la famiglia, il matrimonio e la paternità, realtà assunte dal Figlio di Dio nell’incarnazione per essere purificate e santificate. Non ne ha trattato ampiamente Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica “Redemptoris custos”, ossia “Il custode del Redentore”?

L’esortazione apostolica “Redemptoris custos” deve ancora essere valorizzata?
L’esortazione apostolica “Redemptoris custos” fu scritta nel 1989, ossia quindici anni fa. La sua importanza nell’insegnamento dottrinale di Giovanni Paolo II è sufficientemente sottolineata dal titolo, “Il custode del Redentore”, che colloca la figura e la missione di san Giuseppe nella stessa linea della “Redenzione”, propria delle grandi encicliche programmatiche: “Redemptor hominis”, “Redemptoris mater” e “Redemptoris missio”. A giudicare dai risultati si può dire che essa non solo non è stata valorizzata, ma che neppure è conosciuta. Chiunque se ne può rendere facilmente conto senza andare tanto lontano, controllando semplicemente quanto è stato fatto nella propria diocesi. Il “Movimento Giuseppino” , che ha creato un apposito “Meeting Point: Redemptoris custos” per facilitarne la conoscenza e lo studio, è ben documentato in proposito. Ai ripetuti inviti rivolti in tutte le direzioni, tutti hanno risposto esprimendo la loro… grande personale devozione verso san Giuseppe, ma nessuno (l’eccezione conferma la regola) è andato oltre. “Amato, ma non stimato” sembra la logica conclusione. Un serio bilancio di un esperto studioso di san Giuseppe, lo spagnolo José de Jesus Maria, intitolava così la sua relazione sull’esortazione apostolica: “Fracasos de la Redemptoris custos”. Questo severo giudizio deve far riflettere soprattutto coloro che, a qualsiasi titolo, si professano “giuseppini”. Abbiamo fatto ciascuno la propria parte?

Cosa si può fare per una più diffusa riscoperta del nostro Santo nella Chiesa?
La riscoperta deve avvenire sia dal punto di vista dottrinale che da quello della vita cristiana.
Dal punto di vista della vita cristiana, tutta la Chiesa, che è stata sensibilizzata dal Concilio Vaticano II a servire l’ “economia della salvezza”, della quale Giuseppe fu “speciale ministro”, deve imparare da questo “singolare maestro a servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti: agli sposi ed ai genitori, a coloro che vivono del lavoro delle loro mani o di ogni altro lavoro, alle persone chiamate alla vita contemplativa come a quelle chiamate all’apostolato”. La riscoperta di san Giuseppe non può che promuovere il continuo impegno della Chiesa nel “ritrovare la propria identità nell’ambito del disegno redentivo”. San Giuseppe, infatti, è indissociabile dalla Chiesa allo stesso modo che è indissociabile da Gesù.
Dal punto di vista dottrinale, la vera conoscenza di san Giuseppe dipende da quella dei “misteri” della vita nascosta di Gesù. La “Redemptoris custos” ne ha fatto il perno della teologia di san Giuseppe e il “Catechismo della Chiesa Cattolica” ne ha evidenziato l’importanza, sottolineando che “tutta” la vita di Cristo è “rivelazione, mistero e ricapitolazione”. L’esegesi dei Vangeli deve essere più attenta ai “fatti” nei quali il “mistero” è contenuto; da parte sua, la riflessione teologica e la liturgia devono illustrare il mistero e viverlo. Il compito non è facile, ma inevitabile.

In che modo un santuario dedicato a san Giuseppe può offrire oggi un valido servizio?
Se i “Centri di studio” sono come i “laboratori”, dove si valutano i materiali e si confezionano i prodotti, i Santuari possono essere visti come i luoghi, “vetrine e negozi”, dove i prodotti sono successivamente presentati e offerti ai consumatori. Coloro i quali separano la “pastorale” dallo “studio” fanno, dunque, un cattivo servizio al loro “gregge”. Ai Santuari è affidato, infatti, il difficile compito di trasferire la dottrina nella vita cristiana attraverso una predicazione più mirata e la scelta di quelle pratiche di pietà più idonee ad esprimere la fede. La “devozione popolare” è pur sempre “devozione”, ossia volontà di dedicarsi prontamente alle cose che riguardano il servizio di Dio. Come “educare” tale volontà senza il supporto di una appropriata catechesi? Di qui la necessità di un fondamento esegetico in linea con il magistero della Chiesa, di una iconografia che renda visibili i misteri della vita di Cristo, e di un canto nutrito da un testo che contenga il messaggio cristiano. Predicazione, arte e musica sono tre componenti pastorali che non possono essere lasciate all’improvvisazione e al gusto personale: esse debbono rispecchiare la “sacra doctrina”.

lunedì, ottobre 02, 2006

IL RAGAZZO DI NAZARET


Questo saggio di Mario Aldighieri, pubblicato da Gabrielli editore (pp. 90), stimola a calarsi nella vita, nei pensieri, nelle domande e nella crescita di Gesù dalla nascita fino alla partenza da Nazaret. Siamo quindi trasportati in quel segmento della “vita nascosta” di quel bimbo, di quel ragazzo e di quel giovane che solo più tardi si esprimerà pubblicamente nella sua missione. Siamo invitati a guardare le cose dal punto di vista della storia e delle usanze di quel popolo e di quel tempo di cui Gesù ha voluto concretamente far parte. Il contesto più prossimo è quella Famiglia di Nazaret di cui si è fatto figlio, con Giuseppe a capo, con Maria per madre. Trascorrono così più di trent’anni, in un’esistenza ordinaria, di cui si passano in rassegna i vari aspetti: la casa di Nazaret, gli amici e il gioco, le feste, la preghiera e la sinagoga, il creato, Gerusalemme e il tempio, il lavoro, le scelte religiose e politiche, la patria, la morte, il discepolo di Giovanni, la decisione sul monte. Risulta ben riuscito l’intreccio tra il dato storico e la verosimiglianza fantastica. Appare evidente come la crescita di Gesù viene “segnata” anche dal suo rapporto con Giuseppe. Sono numerosi i brani al riguardo; qui se ne riporta qualcuno ad esempio.“La Pasqua e gli Azzimi erano le feste che Gesù preferiva. Tutta la celebrazione era avvolta nel mistero e illuminava la notte, nella cena attorno alla tavola con il padre Giuseppe, lui, la mamma e i parenti per prendere cibo come in quella notte antica là nell’Egitto” (p. 35). “Sognava ascoltando la musica del salterio e si sentiva ebreo, nato da madre ebrea, figlio del falegname Giuseppe, l’uomo giusto, l’uomo fedele. Soprattutto si sentiva attratto e non perdeva una parola quando era il papà Giuseppe che era scelto, nella preghiera del sabato, per fare la lettura e il commento, con sulle spalle il mantello rituale. Gli sembrava che Giuseppe leggesse e commentasse la parola sacra con più entusiasmo e con più fede di qualunque altro, perfino del capo della sinagoga” (p. 37). “Quando poi tornava a casa e osservava l’amore con cui Giuseppe lavorava il legno e faceva nascere cose nuove dalle sue mani incallite, vi vedeva le mani del Creatore continuare ad operare” (p. 43). “Con il padre aveva imparato la potatura, il rispetto degli animali e delle cose e l’amore al lavoro. Ora che aveva ormai ben 16 anni, il lavoro col padre era diventato la sua occupazione principale. Per ogni pio ebreo il lavoro era sacro e lui lo riteneva ancor più santo” (p. 52). “Gli rimase impresso per sempre lo sguardo di Giuseppe morente e le ultime parole: “Figlio, io me ne vado, è giunta la mia ora e rimetto la mia vita nelle mani dell’Eterno. Ti ho accompagnato con tua madre fino a questo punto della tua vita. Ora sei un uomo e sei pronto per ciò che l’Eterno ha pensato per te fin dall’eternità... Mi basta sapere che per amore ti ho accompagnato come padre, per amore ti lascio alla tua strada.” (pp. 76-77).