mercoledì, ottobre 29, 2008

AMATO MA NON STIMATO - Intervista a p. Stramare


Quali aspetti della “teologia giuseppina” sono maggiormente attuali?
Per la verità, c’è ancora chi obietta che è esagerato parlare di “teologia giuseppina”, dando per scontato che la figura di san Giuseppe è del tutto “marginale” nella storia della salvezza. Rispondiamo subito a questa tanto errata quanto diffusa convinzione, suffragata dalla totale assenza di san Giuseppe nei manuali di teologia, che, proprio al contrario, pochi personaggi appartengono, invece, come san Giuseppe alla “sacra dottrina” e a quanto in essa “è ordinato a Dio”, secondo il pensiero di san Tommaso, il quale, seguendo il procedimento del vangelo secondo Matteo, ne considera la presenza e il ruolo proprio trattando “l’entrata del Figlio di Dio nel mondo”, all’interno dei misteri della vita di Cristo.
Origene compendia la missione di san Giuseppe, definendolo “l’ordinatore della venuta del Signore”; da parte sua, san Giovanni Crisostomo gli riconosce il titolo di “ministro della salvezza”. Altro che figura “insignificante”, come qualche teologo dilettante si ostina a qualificarlo. Nessuna preoccupazione, dunque, di non essere “cristocentrici”, come oggi giustamente si esige, se ci occupiamo di san Giuseppe!
Precisato questo, è facile comprendere come i differenti aspetti della “teologia giuseppina”, essendo strettamente connessi al mistero dell’Incarnazione, fondamento della Redenzione, siano al centro del Cristianesimo e, perciò, tutti attuali. E’ chiaro che, se ci riferiamo all’ambito pastorale, sono più urgenti quelli che riguardano la famiglia, il matrimonio e la paternità, realtà assunte dal Figlio di Dio nell’incarnazione per essere purificate e santificate. Non ne ha trattato ampiamente Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica “Redemptoris custos”, ossia “Il custode del Redentore”?

L’esortazione apostolica “Redemptoris custos” deve ancora essere valorizzata?
L’esortazione apostolica “Redemptoris custos” fu scritta nel 1989, ossia quindici anni fa. La sua importanza nell’insegnamento dottrinale di Giovanni Paolo II è sufficientemente sottolineata dal titolo, “Il custode del Redentore”, che colloca la figura e la missione di san Giuseppe nella stessa linea della “Redenzione”, propria delle grandi encicliche programmatiche: “Redemptor hominis”, “Redemptoris mater” e “Redemptoris missio”. A giudicare dai risultati si può dire che essa non solo non è stata valorizzata, ma che neppure è conosciuta. Chiunque se ne può rendere facilmente conto senza andare tanto lontano, controllando semplicemente quanto è stato fatto nella propria diocesi. Il “Movimento Giuseppino” , che ha creato un apposito “Meeting Point: Redemptoris custos” per facilitarne la conoscenza e lo studio, è ben documentato in proposito. Ai ripetuti inviti rivolti in tutte le direzioni, tutti hanno risposto esprimendo la loro… grande personale devozione verso san Giuseppe, ma nessuno (l’eccezione conferma la regola) è andato oltre. “Amato, ma non stimato” sembra la logica conclusione. Un serio bilancio di un esperto studioso di san Giuseppe, lo spagnolo José de Jesus Maria, intitolava così la sua relazione sull’esortazione apostolica: “Fracasos de la Redemptoris custos”. Questo severo giudizio deve far riflettere soprattutto coloro che, a qualsiasi titolo, si professano “giuseppini”. Abbiamo fatto ciascuno la propria parte?

Cosa si può fare per una più diffusa riscoperta del nostro Santo nella Chiesa?
La riscoperta deve avvenire sia dal punto di vista dottrinale che da quello della vita cristiana.
Dal punto di vista della vita cristiana, tutta la Chiesa, che è stata sensibilizzata dal Concilio Vaticano II a servire l’ “economia della salvezza”, della quale Giuseppe fu “speciale ministro”, deve imparare da questo “singolare maestro a servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti: agli sposi ed ai genitori, a coloro che vivono del lavoro delle loro mani o di ogni altro lavoro, alle persone chiamate alla vita contemplativa come a quelle chiamate all’apostolato”. La riscoperta di san Giuseppe non può che promuovere il continuo impegno della Chiesa nel “ritrovare la propria identità nell’ambito del disegno redentivo”. San Giuseppe, infatti, è indissociabile dalla Chiesa allo stesso modo che è indissociabile da Gesù.
Dal punto di vista dottrinale, la vera conoscenza di san Giuseppe dipende da quella dei “misteri” della vita nascosta di Gesù. La “Redemptoris custos” ne ha fatto il perno della teologia di san Giuseppe e il “Catechismo della Chiesa Cattolica” ne ha evidenziato l’importanza, sottolineando che “tutta” la vita di Cristo è “rivelazione, mistero e ricapitolazione”. L’esegesi dei Vangeli deve essere più attenta ai “fatti” nei quali il “mistero” è contenuto; da parte sua, la riflessione teologica e la liturgia devono illustrare il mistero e viverlo. Il compito non è facile, ma inevitabile.

In che modo un santuario dedicato a san Giuseppe può offrire oggi un valido servizio?
Se i “Centri di studio” sono come i “laboratori”, dove si valutano i materiali e si confezionano i prodotti, i Santuari possono essere visti come i luoghi, “vetrine e negozi”, dove i prodotti sono successivamente presentati e offerti ai consumatori. Coloro i quali separano la “pastorale” dallo “studio” fanno, dunque, un cattivo servizio al loro “gregge”. Ai Santuari è affidato, infatti, il difficile compito di trasferire la dottrina nella vita cristiana attraverso una predicazione più mirata e la scelta di quelle pratiche di pietà più idonee ad esprimere la fede. La “devozione popolare” è pur sempre “devozione”, ossia volontà di dedicarsi prontamente alle cose che riguardano il servizio di Dio. Come “educare” tale volontà senza il supporto di una appropriata catechesi? Di qui la necessità di un fondamento esegetico in linea con il magistero della Chiesa, di una iconografia che renda visibili i misteri della vita di Cristo, e di un canto nutrito da un testo che contenga il messaggio cristiano. Predicazione, arte e musica sono tre componenti pastorali che non possono essere lasciate all’improvvisazione e al gusto personale: esse debbono rispecchiare la “sacra doctrina”.

lunedì, ottobre 20, 2008

SAN GIUSEPPE A BURGOS


Un bassorilievo in una cappella del seminario di San Giuseppe in Spagna a Burgos mi ha sorpreso. La sua realizzazione è profondamente popolare, ci dà uno schema, una sintesi, sia di quanto si rappresenta davanti allo spettatore sia dell’intenzione particolare dell’autore. Lo schema di un’opera d’arte popolare come questa è così candida e felicemente tenera, da afferrare l’attenzione di chi guarda, perché si fa comprensibile con linee facilmente interpretabili. Il quadro, recentemente restaurato, emana gioia, attraverso molteplici colori senza gamme irritanti. Difficilmente si può allontanare la vista da un invito così cordiale.
I personaggi cesellati sono evidenti, Maria e il Bambino con occhi di nero tizzone dirigono il loro sguardo al nostro Giuseppe; loro sono pacificamente seduti, lui in ginocchio con il busto inclinato verso avanti guarda il Bambino. Maria con il suo petto avvolge e con le sue braccia stringe il Bambino posato sul suo grembo, che cerca con il braccio disteso quanto Giuseppe offre: giocattoli naturali, un uccellino e il suo nido, attirano l’attenzione del Bambino.
Giuseppe di fronte all’Incarnato (il roseo Bambino) ha la fisionomia di un giovane padre, offre in ginocchio, afferrando con una mano il bordo anteriore di uno sgabello, (inginocchiatoio o altare) in atteggiamento di alzarsi verso il Bambino. Si nota la tensione, l’attrazione mutua, i tre sguardi s’incrociano, bracci stesi, quello del bambino e Giuseppe che offre il regalo facendo il gesto di avvicinarsi e mettersi in piedi. Nel fondo del quadro c’è un’aureola scintillante in campo celeste dietro Maria vergine, che indica la sua maternità. Due alberi si elevano, il cipresso e il rovere, tutti e due si collocano agli estremi, uno punta verso l’alto, l’alto tronco e rami si piegano ad arco. Il cipresso punta verso Dio, dietro la Maternità e il Bambino Divino, il rovere dà ombra a Giuseppe, e porta tagli di potatura: l’umano si piega perché spunti il Divino.
Nell’arte, dal rinascimento, San Giuseppe appare in ombra vicino al Bambino e a Maria, centro della rivelazione. Benché l’ombra cada su Giuseppe, qui tutto indica lui; di fronte all’attrazione abituale della tenerezza di una madre col suo Bambino, il loro sguardo e quello spettatore cerca il terzo personaggio nella sua posizione insolita, nei suoi gesti e nella sua inclinazione. Tutta la scena traspira affetto, condiscendenza, gioco e colore, dono reciproco.
Osservando questo quadro devozionale mi è rimasta questa figura, è un’immagine che aiuta; il candore riflesso, l’offerta e lo sguardo ci pongono nella linea della confidenza. All’inizio delle attività ordinarie possiamo sentire l’ombra dell’abitudine, dell’insufficienza di non poter raggiungere quelle mete verso le quali, nonostante tutto, non desistiamo. Possiamo iniziare di nuovo, stabilendo un clima di attenzione verso l’altro, d’inclinazione e cortesia, un ambiente simile a quello di Nazaret ci può andare molto bene là dove si conservano i segreti della fede nella semplicità di una vita….
I compromessi possono giungere a infastidirci sotto il peso dei giorni e delle urgenze; non è poca cosa considerare la grazia e il gioco, fra una mano che offre un uccellino e un animo sorpreso e infantile; è l’allegoria di una “famiglia-nido”, e di un “bambino-uccellino” che sta già desiderando volare……


Luis Fernandez

martedì, ottobre 14, 2008

PUBBLICAZIONI GIUSEPPINE


PREGHIERE A SAN GIUSEPPE


Si tratta di un bel volume illustrato (con tavole di Musio), alla sua seconda edizione, che si presenta come una bella raccolta di invocazioni al nostro santo, curata da Giuseppe Brioschi.. Nessun santo – si afferma in copertina – può avere tanti meriti per ottenere da Gesù grazie, come san Giuseppe. Nessuno potrà mai dire a Gesù: “Io ti diedi da mangiare col mio sudore, ti procurai il vestito, io ti diedi da bere”. Nessun santo potrà mai dire a Gesù come Giuseppe: “Io ti ho educato, ancora bambino, ti portai con queste mie braccia, ti nascosi in Egitto e là ti liberai dalla morte spietata a cui Erode tentava di condannarti. Io in una parola fui il tuo custode, il tuo padre davidico”. Come Gesù non può negare i favori che ha ricevuto da san Giuseppe, così non sa negargli niente di ciò che lui gli chiede. Se poi Giuseppe chiede qualche grazia a Dio per mezzo di Maria, che cosa potrà mai negare Maria di ciò che le chiede il suo sposo, e Gesù di ciò che gli chiede sua Madre? Ecco la misteriosa scala attraverso cui salgono a Dio le nostre preghiere e discendono esaudite. Preceduta dalla presentazione di T. Stramare, la pubblicazione si divide in quattro parti, ognuna in riferimento a un documento pontificio. La Chiesa onora san Giuseppe, con la lettera apostolica “Le voci” di Giovanni XXIII, presenta il nostro santo come Patrono della Chiesa, dei sacerdoti, dei lavoratori e dei moribondi. La Chiesa prega san Giuseppe, con l’enciclica “Quamquam pluries” di Leone XIII, propone le preghiere A te o beato Giuseppe, i sette dolori-gioie, il sacro manto, tridui, settenari, novene, suppliche. La Chiesa si affida a san Giuseppe, con l’esortazione “Neminem fugit”, riporta la consacrazione alla Santa Famiglia. Infine, la Chiesa imita san Giuseppe, con la lettera apostolica “Redemptoris custos” di Giovanni Paolo II, raccoglie i testi della Liturgia delle ore della solennità di san Giuseppe.


LECTIO DIVINA SU SAN GIUSEPPE
Un altro volumetto della medesima editrice ha come autore Giovanni Sgreva, che propone una serie di riflessioni in forma di novena. E’ interessante come viene sottolineato che dove si onora Maria non si può fare a meno di accogliere pure in modo singolare la figura di san Giuseppe: “Se poi aggiungiamo che là dove c’è un’opera di Maria, essa agisce sempre in unità con san Giuseppe, perché sono indissolubilmente uniti in tutto, allora anche nella preghiera si è legati in modo indissolubile, oltre che a Maria, anche allo sposo Giuseppe” (cf. p. 7). Giorno per giorno si può imparare dal nostro santo: la fede, l’umiltà, l’obbedienza, la pazienza, la purezza, il silenzio, l’abbandono, la difesa dal maligno, la provvidenza. Il testo riporta infine le preghiere del Sacro Manto in linguaggio aggiornato e la “Redemptoris custos” in appendice.

EDITRICE SHALOM, via san Giuseppe 57 – 60020 Camerata Picena (AN)

martedì, ottobre 07, 2008

IMMAGINE DELLA CHIESA



San Giuseppe merita un posto di rilievo nella spiritualità della comunità cristiana. Non solo la sua è una proposta di ampio respiro nell’itinerario di fede, ma è come una “porta” che ci fa entrare nello spirito della Chiesa, che si specchia nella Santa Famiglia. Capo di questa Famiglia, come sappiamo, è proprio Giuseppe, motivo per cui è proclamato anche oggi “Patrono della Chiesa universale”. Un patrocinio che è esercizio di paternità sui credenti, di singolare intercessione sul Figlio, di modello per ogni condizione di vita. Soprattutto è passaggio di ingresso nella Famiglia di Dio, figura e immagine della Chiesa nel mondo.
C’ è un’interessante riflessione del teologo protestante Karl Barth, secondo il quale san Giuseppe sarebbe da preferire a Maria stessa quale prototipo dell’essenza e della funzione della Chiesa. Il giuseppino biblista p. Giuseppe Danieli osserva: “realmente, san Giuseppe ebbe il compito di custodire, difendere, nutrire, educare Gesù (non generarlo): e questo è eminentemente il compito della Chiesa oggi”. In effetti il Custode del Redentore ci si presenta come “immagine” del popolo di Dio e del singolo cristiano, chiamato in ogni tempo a portare e a difendere la presenza di Cristo nel mondo. Il compito oggi non è tanto quello di generarlo, perché il Risorto è vivo e operante tutti i giorni, fino alla fine del mondo, quanto piuttosto quello di custodirlo e di proteggerlo, davanti all’opposizione dichiarata, o all’indifferenza e alla scristianizzazione, quello di farlo crescere nella vita della comunità cristiana. Una testimonianza tanto più esigita dal confronto e dal dialogo necessario con chi non crede, appartiene ad altra Chiesa o religione. Il dialogo infatti non esime dal difendere la propria identità, cultura e tradizione, nel reciproco rispetto.
Non si tratta di una pia devozione, magari superata o per le vecchiette di una volta, ma di riconoscere dunque in san Giuseppe l’immagine della Chiesa, il prototipo di quel ruolo fondamentale che consiste nel presentare e portare Gesù. E’ fuor di dubbio che ci sia bisogno nell’attuale società di essere fedeli a tale compito per ogni cristiano. Il mondo laicista che non accetta nemmeno il dato di fatto delle “radici cristiane” del nostro popolo, deve far pensare. Se poi la Chiesa stessa è attaccata e la sua dottrina viene ritenuta dagli opinionisti che vanno per la maggiore retrograda sulle sue posizioni, è il momento di rifarsi maggiormente al suo Protettore, che è il protettore di Cristo stesso. Non per niente la proclamazione del patrocinio di san Giuseppe da parte di Pio IX avviene in uno dei momenti più difficili della sua storia. Opportunamente Giovanni Paolo II, nella sua esortazione apostolica “Redemptoris Custos”, sottolinea la “perdurante attualità” bimillenaria del nostro santo e la necessità del ricorso alla sua intercessione; portando il suo esempio personale, ha confidato di invocarlo ogni giorno, specie al termine della Messa.
Vedere dunque in san Giuseppe, insieme alla sua Sposa, l’immagine stessa della Chiesa, ci induce a scoprire in lui, nel suo modello di santità, il nostro “dover essere”. Ci porta a impostare la nostra esistenza, come un suo “poter essere”. L’arricchimento che ci dona tale scoperta è straordinario. L’esempio di tanti santi e suoi devoti, fino al fondatore del santuario di San Giuseppe Vesuviano don Giuseppe Ambrosio, è una garanzia. A questo punto, occorre provare per credere. Per parte nostra lo scegliamo come il migliore compagno di viaggio. Ci auguriamo che il Custode del Redentore, pienamente inserito nel mistero di Cristo e della Chiesa, trovi più spazio in ciascuno e in ogni comunità ecclesiale, nella predicazione e nella catechesi, in modo da riconoscere in lui quella che è l’essenza della propria funzione, e da assegnare a lui il posto che gli spetta nella spiritualità cristiana del presente e del futuro.

Angelo Catapano