lunedì, giugno 30, 2008

MONTREAL


Il più grande santuario di san Giuseppe è stato innalzato nel secolo scorso a Montréal in Canada, per la forte devozione verso il nostro santo di un religioso umile e povero della Congregazione della Santa Croce. Si tratta di fratel Andrea Bessette, vissuto dal 1845 al 1937 e beatificato nel 1982, immortalato anche nel transetto del nostro santuario di S. Giuseppe Vesuviano dal dipinto di Favaro. Un po’ come per padre Pio, molta gente accorreva da tutte le parti “all’Oratorio” (inteso secondo l’etimologia come luogo di preghiera) per incontrarlo, raccomandare i malati e pregare san Giuseppe. Il suo compito era di fare semplicemente da portinaio di un collegio, ma la porta da lui aperta conduceva ognuno e ogni problema alla confidenza sconfinata in Dio e nell’intercessione del nostro santo, con il quale aveva instaurato una vera e propria amicizia. Il moltiplicarsi delle guarigioni, nel corpo e nello spirito, per più di trent’anni gli ottennero (insieme a persecuzioni) fama di uomo di Dio e di taumaturgo. I miracoli che avvenivano erano da lui attribuiti apertamente al santo del suo cuore: “S. Giuseppe può sanare le ferite, può far camminare gli storpi, può far vedere i ciechi, può far alzare i paralitici…”! In segno di fede e per lenire le sofferenze si è diffusa la pratica dell’olio di san Giuseppe.
Nel 1896 – da notare la coincidenza con la posa della prima pietra del nostro santuario – si acquista il terreno dove edificare una chiesa in onore dello Sposo di Maria. Nel 1904 si costruisce una prima cappella, ma già tre anni dopo viene realizzata un’ampia cripta abbellita da artistiche vetrate sugli episodi della vita di san Giuseppe; tra gli anni ’20 e gli anni ’60 in posizione elevata sulla collina, che si sale con gradinate da un esteso piazzale, è stata edificata in mezzo al verde l’attuale grande basilica, sormontata da una cupola imponente (con stile ispirato al Brunelleschi), capace di contenere oltre 2000 persone. Per i numerosi “ex voto” per grazia ricevuta, si allestisce un’intera Cappella votiva, dove brillano 10.000 lampade davanti alla statua di san Giuseppe, invocato nei suoi appellativi: Speranza dei malati, Patrono dei morenti, Modello dei lavoratori, Protettore della Chiesa, Sostegno delle famiglie, Terrore dei demoni, Custode dei vergini, Consolatore degli afflitti. Sulla montagna nel 1951 si sono disposte le stazioni in marmo della Via Crucis. Recentemente si è aperto pure un museo, che raccoglie oggetti preziosi, pitture e presepi. La rivista “L’Oratoire” tiene legati i devoti sparsi nel mondo. La Basilica di san Giuseppe a Montréal ben suggella visibilmente il patrocinio speciale del nostro santo sul Canada, che risale storicamente già al Seicento.

martedì, giugno 17, 2008

RISCOPRIAMO SAN GIUSEPPE



A cura del Centro Studi san Giuseppe, la Libreria Editrice Murialdo (LEM) ha pubblicato gli atti della Giornata di studio su san Giuseppe svoltasi lo scorso anno a Roma. Ne è scaturito un libro vario nei contenuti e negli autori, nel medesimo tempo divulgativo e di interesse per gli studiosi. Ecco i capitoli che lo costituiscono: Vangelo dei misteri della vita nascosta di Gesù (Tarcisio Stramare), San Giuseppe nel cinema (Angelo Catapano), San Giuseppe educatore nell’iconografia (Stefania Colafranceschi), Una presenza di paternità per l’uomo postmoderno (Guglielmo Spirito), Oratorio su san Giuseppe (Marco Frisina). E’ stato aggiunto anche lo studio su san Giuseppe negli scritti di san Leonardo Murialdo (Pedro Olea) ed è corredato dalle immagini relative alla ricerca della prof.ssa Colafranceschi. L’intento della Giornata, come pure della presente pubblicazione, è quello ambizioso di un “rilancio” della figura di san Giuseppe nella Chiesa italiana, dato che appare alquanto trascurato.
Nell’introduzione p. Tullio Locatelli scrive: “Qualche volta pensando a san Giuseppe si ha l’impressione di trattare di un santo un poco declassato: assente nella preghiera eucaristica, la sua solennità religiosa non è più festa civile; noi stessi lo conosciamo poco e siamo perfino incerti su come chiamarlo: si può ancora chiamarlo padre putativo di Gesù o è meglio usare il termine di “custode del redentore”? Poco o appena citato in tanti documenti ufficiali della Chiesa ai vari livelli, dimenticato anche quando sarebbe proprio il caso di nominarlo. Ma non esprimiamo giudizi sugli altri; anche noi che ci diciamo suoi devoti, che ci fregiamo del suo nome, nella denominazione delle nostre congregazioni religiose, forse ce ne ricordiamo poco: se contiamo i canti che sappiamo su san Giuseppe riusciremo a nominare dieci titoli? Ma soprattutto rimaniamo un poco confusi se volessimo rispondere a quanto della riflessione teologica, dal Concilio ad oggi, è entrato a far parte del nostro bagaglio di “giosefologia”. Dobbiamo pur riconoscere che forse la povertà della riflessione teologica, biblica, che getti nuova luce sulla figura e la missione di san Giuseppe, ha isterilito un poco la nostra preghiera e quasi spento il canto in onore del nostro santo. Certo san Giuseppe non è una figura che si possa trattare con facilità; è difficile parlare di un uomo del silenzio e della ubbidienza nella fede; è difficile parlare del vigile sognatore del Vangelo, e coglierne il segreto che lo ha portato ad essere partecipe in modo privilegiato degli inizi della Redenzione. Forse per questo rimaniamo incuriositi di fronte a chi scrive di san Giuseppe attraverso la forma letteraria del romanzo: una libertà che permette di andare oltre il semplice dato evangelico, e nello stesso tempo di rendere la figura di san Giuseppe più vicina al quotidiano dell’uomo e del credente, senza la preoccupazione di approfondimenti teologici, con il rischio di dire troppo, o di cadute devozionali, con il pericolo di dire troppo poco e male”.
Si auspica dunque una “riscoperta” di san Giuseppe; forse non si tratta di fare cose straordinarie, ma di cominciare da se stessi e dal proprio contesto di vita, assumerlo come padre e patrono, conoscerlo ed amarlo di più per farsi accompagnare dalle sue mani esperte incontro alla sua sposa Madre della Chiesa e a suo figlio Redentore del mondo.


CENTRO STUDI SAN GIUSEPPE, Riscopriamo san Giuseppe, Roma 2008, LEM, pp. 151.

mercoledì, giugno 11, 2008

S. GIUSEPPE E LA MADONNA DELL'ARCO


Il santuario di san Giuseppe Vesuviano si trova giusto in mezzo a due importanti santuari mariani dell’area vesuviana: quello di Pompei a sud e quello della Madonna dell’Arco a nord. Lo Sposo di Maria è dunque comodamente raggiungibile – ad appena una decina di chilometri – dall’uno e dall’altro. Sarebbe auspicabile che i devoti di Maria non si dimenticassero del suo Sposo Giuseppe, sia generalmente nella preghiera che più propriamente nei pellegrinaggi. D’altra parte il legame storico con la Madonna di Pompei davvero è forte; ma anche quello con la Madonna dell’Arco non manca. Pensiamo che la storia comincia già nel 1450, quando in quella località di Santa Anastasìa, càpita che un’immagine di un’edicola mariana, colpita sul viso, comincia a sanguinare. La devozione verso tale immagine di Maria cresce a Napoli e in tutta la zona vesuviana, finché a cavallo del Cinquecento e del Seicento viene innalzato il Santuario, con l’intervento di S. Giovanni Leonardi e dei Domenicani che vi costruiscono accanto il loro convento. Solo nel 1948 viene però ampliato in tre navate e negli anni ’60 giunge all’attuale sistemazione.
Dall’inizio del Novecento e poi almeno per una ventina d’anni, proprio un terziario domenicano della Madonna dell’Arco, si fa promotore della costruzione del nostro santuario di S. Giuseppe, a pochi chilometri di distanza, e diventa collaboratore di primo piano del fondatore don Giuseppe Ambrosio. Si tratta di mons. Antonio Sodano che con oratoria brillante ed entusiasta è puntuale nella predicazione in santuario e negli scritti sulla “Voce di san Giuseppe”. A lui si devono numerosi interventi memorabili che accompagnano “i primi tempi”: la posa della prima pietra, l’inaugurazione delle colonne, lo scoprimento della cupola, l’avvio dell’ospizio educativo, i viaggi di don Peppino, la realizzazione della facciata. Da vero innamorato di san Giuseppe, ne racconta le virtù e ne propone l’esempio, spesso con aggancio alle radici bibliche e alla sua provenienza dal santuario della sua Sposa alla Madonna dell’Arco, di cui redige il bollettino dal 1891 al 1924.
Bisogna dire d’altronde che la devozione alla Vergine dell’Arco è ben radicata anche nella zona di S. Giuseppe Vesuviano, dove almeno da cinquant’anni è fiorente un’associazione, che attualmente ha sede all’ombra del santuario in via Montesanto 6, ne è presidente Vincenzo Saggese e conta 450 iscritti. Il “momento forte” è il grande pellegrinaggio a piedi che si tiene ogni anno il lunedì dell’Angelo. I “battenti” o “fujenti” – così chiamati perché corrono battendo a ritmo - in divisa (vestito bianco, fascia rossa alla vita e azzurra a tracollo) e in “paranze” (a squadre) guidano la processione, con banda musicale e mortaretti, bandiere e stendardi. Si intrecciano apertamente le espressioni ormai da lunga data di una religiosità popolare e di una festa tradizionale quanto mai sentite. Si parte dal santuario di san Giuseppe, con famiglie intere (dai bimbi ai nonni) e si confluisce a quello della Madonna dell’Arco con centinaia di altri gruppi, provenienti per lo più dal Napoletano e da ceto medio-basso; a conti fatti si arriva a circa 200.000 persone. Dunque la “Pasquetta” qui si caratterizza, oltre che per la scampagnata e la gita fuori città (di gusto prettamente mondano), per la ricorrenza di questa manifestazione di fede, di penitenza e di festa che unisce sacro e profano. Anche se si riscontra del fanatismo e qualche comportamento criticabile, non è invalidata la sostanza di questa devozione così carica di amore per la Madonna e di entusiasmo di popolo. I tanti “ex voto per grazia ricevuta”, come pure un’edicola eretta a Maria SS. dell’Arco nella piazza di S. Giuseppe davanti al Comune, suggellano il legame tra i due luoghi.

mercoledì, giugno 04, 2008

LA VOCAZIONE GIUSEPPINA



Rispondere alla vocazione alla quale siamo chiamati è indubbiamente quanto di meglio possiamo fare. Quantomeno non ci troviamo nella situazione di chi vede la vita come un tunnel oscuro in cui non esiste via d’uscita o come un enigmatico labirinto senza direzione di percorso.
Abbiamo la vocazione alla vita: la chiamata a rispettarla, custodirla e difenderla in noi e negli altri. E’ il dono prezioso che ci ritroviamo tra le mani, senza che l’abbiamo voluto. Cercare il senso dell’esistenza e perseguirlo è il primo compito da affrontare. Non è proprio il caso di passare il tempo “alla giornata” e di sprecare così i nostri giorni come capita: la superficialità con la quale spesso andiamo avanti (o indietro?!) ci porta poi a raccogliere amare conseguenze in noi e attorno a noi. Tanti non ci pensano, rincorrono miraggi e rimangono vuoti. La nostra vita si arricchisce invece nella misura in cui la riempiamo di senso. Ci conviene dare una risposta seria al perché viviamo, proprio per non arrivare alla fine a dover vedere che l’abbiamo trascorsa inutilmente o addirittura dannosamente senza aver concluso nulla. E’ importante darsi un progetto e cercare di raggiungerlo, tanto più nell’età della giovinezza e delle scelte più importanti. Molti hanno fatto questa esperienza: la vita è bella – e piena di gioia – se vissuta nel servizio e nell’amore. Perché non provare?

Abbiamo la vocazione cristiana: Cristo Gesù è risorto, ed ora, vivo in mezzo a noi, ci chiama continuamente, ogni giorno, a seguirlo. Si è fatto “servo per amore” e ci chiama espressamente all’amore. Innanzitutto all’amore per Dio, dato che siamo figli immensamente amati dal Padre celeste, e all’amore per il prossimo, specialmente chi è maggiormente bisognoso. Lo scopo della vita, ci fa capire il Signore, sta esattamente nel vivere da figli di Dio e da fratelli tra noi, esprimendo nelle scelte e nei fatti dell’esistenza questa figliolanza e questa fraternità. Se siamo intelligenti, non abbiamo diritti da rivendicare e progetti nostri da far valere, ma semplicemente riconosciamo quello che siamo: creature nelle mani del Creatore. La chiave dell’esistenza sta nel rapporto di Gesù con il Padre: “Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc 14,36). Allora quello che importa nella vita è metterci nelle mani di Dio e fare la sua volontà, il più possibile, momento per momento, nell’attimo presente. Ci viene in aiuto anche san Leonardo Murialdo che ci dice: “siamo nelle mani di Dio, siamo in buone mani”.

Abbiamo la vocazione giuseppina: lettori, amici, devoti, laici e religiosi, nel nome di san Giuseppe, troviamo nel nostro Patrono una chiamata ad una missione e ad un modello di vita. Sappiamo bene che siamo amici di san Giuseppe se non solo lo invochiamo, ma ci impegniamo ad imitare il suo stile e il suo esempio di santità. Davvero il nostro santo è straordinario nel seguire con fedeltà e ubbidienza a tutta prova la volontà di Dio che stravolge la sua vita! E’ una grazia per noi poter ricalcare almeno un po’ le sue virtù, nel lavoro, in famiglia, nella fede e nell’accoglienza del Signore. Noi poi, che siamo consacrati come Giuseppini del Murialdo, abbiamo un motivo in più per invocarlo come protettore della nostra scelta di vita religiosa. Ci aiuti lui a riscoprire la nostra vocazione giuseppina, in modo da essere più fedeli e trasparenti nell’identità e nell’servizio, in tutto ciò che siamo chiamati ad essere e a fare.


Angelo Catapano